FEDERICA ORLANDI
Cronaca

Alessandra e i femminicidi: "Servono pene più severe"

L’appello della sorella di Matteuzzi dopo il femminicidio di Cecchettin. In aula ’scontro’ sulla salute mentale di Padovani: "È matto", "No, simula".

Alessandra e i femminicidi: "Servono pene più severe"

"Mi è rimasta solo la giustizia, mia sorella non la riporterà in vita nessuno e allora mi attacco a questo. Adesso finalmente si sta parlando di violenza di genere e io credo si possa fare tanto, sia prima, per prevenirla, sia tramite pene più severe". Il parallelo di Stefania Matteuzzi è tra quello che è successo a sua sorella Alessandra, assassinata a martellate, calci, pugni e colpi di panchina dal suo ex fidanzato Giovanni Padovani il 23 agosto del 2022, e il recente caso di Giulia Cecchettin, la ventiduenne veneziana picchiata a sangue, assassinata con venti coltellate e abbandonata in un dirupo. Atroce delitto per cui è stato poi arrestato il suo ex Filippo Turetta, bloccato in Germania dopo una fuga in auto durata una settimana. Femminicidi strazianti, che si ripetono con elementi tragicamente simili tra di loro. Come in un incubo. "Delitti che si ripetono come se nulla fosse e con cui si ripete il solito cliché: lui era un bravo ragazzo, le faceva i biscotti, non può certo essere considerato capace di gesti tremendi – attacca l’avvocato di parte civile Chiara Rinaldi, che con l’avvocato Antonio Petroncini rappresenta i familiari di Sandra –. Siamo sullo stesso binario della povera Alessandra. Perciò, temo che anche la famiglia di Giulia dovrà ora sopportare quello che Stefania ha affrontato in questi mesi".

È l’incipit, a margine, della nuova udienza al processo a Padovani. Ieri, i periti della Corte d’assise presieduta dal giudice Domenico Pasquariello hanno discusso le conclusioni del loro lavoro, mirato a valutare la capacità di intendere e volere dell’imputato al momento del delitto. I professori Pietro Pietrini e Giuseppe Sartori, con la testista Cristina Scarpazza, hanno confermato: quelle capacità c’erano. Concordi i consulenti di Procura e parti civili. Tutto al contrario dei consulenti della difesa, con lo psichiatra Alessandro Meluzzi che ha definito Padovani "un matto pericoloso, con tratti schizofrenici: se avesse intrapreso prima le terapie farmacologiche cui è sottoposto ora, non saremmo arrivati a questo punto".

Incalzati dalla difesa, con l’avvocato Gabriele Bordoni che ha posto l’accento sul mancato svolgimento di diversi degli esami inizialmente previsti dai periti sul detenuto, tra cui la risonanza magnetica e tutti i colloqui (alla prossima udienza chiederà vengano disposti dalla Corte), i periti hanno sottolineato di ritenere il ventisettenne pienamente capace di intendere e di volere, tesi basata anche su quanto già raccolto durante gli esami per accertare la sua capacità di stare in giudizio. Per loro, Padovani avrebbe poi simulato sintomi psichici, ritenuti "a bassa credibilità", ma non per forza "deliberatamente menzogneri". Riguardo la mancata risonanza magnetica, gli psichiatri hanno sostenuto che l’esame fosse "utile, ma non indispensabile" per valutare criminogenesi ed "eventuale sussistenza di fattori che non rendessero piena la capacità di agire" dell’ex calciatore. E le "voci" che Padovani riferisce di sentire da prima del delitto, come quando nella sua testa udiva suo padre incitarlo o sminuirlo alle partite di calcio, sarebbero "pensieri anancastici, ossessivi, non allucinazioni", spiegano gli esperti. La diagnosi di "disturbo della personalità borderline" rilevato da uno psichiatra del carcere di Piacenza in cui Padovani fu detenuto, infine, per il consulente della Procura Alessio Picello fu "viziato dalla sua simulazione".