
Biancastella
Antonino
Oggi non scriverò delle donne bolognesi che hanno lasciato una traccia nella storia e che invece la memoria ha spesso dimenticate, ma di due adolescenti, compagne di scuola e amiche, che un assurdo pregiudizio separa e rende infelici. La prima, nome di fantasia Patrizia, è nata e cresciuta a Bologna, la seconda, nome di fantasia Jasmine, è pakistana, a Bologna da molti anni; la prima festeggia il suo compleanno e invita le amiche del cuore a casa all’ora di pranzo, solo donne. Tutte sono felici dell’invito, un’occasione per stare insieme a scambiarsi i loro pensieri di adolescenti; anche Jasmine lo è, ma, confida all’amica, che purtroppo non potrà partecipare perché suo padre impedisce a lei e a sua sorella di frequentare qualsiasi amicizia, per motivi "religiosi". Al di fuori dell’orario scolastico le due sorelle devono rimanere in casa, senza poter avere contatti sociali, se non, forse e sotto stretta sorveglianza di un parente, con conoscenti della stessa religione e nazionalità. Ovviamente Jasmine accetta con rassegnazione - ma fino a quando? - la sua situazione di isolamento dalle compagne di scuola, alle quali è molto legata affettivamente, e così non può che consolare la delusione della sua amica, dicendo che le farà comunque un piccolo regalo, perché le vuole tanto bene. Allora mi domando: cosa facciamo noi, comunità, scuola, che veniamo a conoscenza di queste situazioni, che nulla hanno a che fare con la religione? Certamente non troveremo mai nel Corano simili impedimenti ad avere rapporti sociali e perfino, come in questo caso con persone dello stesso sesso. Perché non si fa nulla per favorire e rendere possibile l’integrazione di queste famiglie? Perché si interviene solo quando l’isolamento diventa segregazione e qualche ragazza coraggiosa denuncia? Perché indignarsi solo di fronte a un suicidio o addirittura a un omicidio? Io credo che se la scuola e la comunità "civile" rimangono inerti, il nostro giornale ha un compito morale: denunciare, denunciare, denunciare.