Guerra in Ucraina, Salah e Abramo scappano fino a Bologna. “Niente fronte, prima la famiglia“

Padre e figlio sono tra i pochi uomini che hanno deciso di lasciare il loro Paese invece che andare a combattere contro i russi

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Bologna, 8 aprile 2022 - “ La famigli a è la cosa più preziosa per noi, l’obiettivo era mettere al riparo tutti. Niente sarà mai più forte dei nostri cari, nemmeno lottare per la propria patria“. A parlare sono Salah , uomo di 46 anni di origini marocchine, e suo figlio Abramo , appena diciottenne nato, invece, a Vicenza. Entrambi vivono, o meglio vivevano, a Netišyn , una cittadina ucraina vicino a una centrale nucleare, distante sei ore da Kiev , con il resto della famiglia.

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Salah e Abramo sono riusciti a varcare il confine con la Romania e a salvarsi, giungendo a Bologna in pullman. In un momento in cui la presenza maschile al fronte pare essere obbligatoria, suona strano, per gli uomini, scappare dalla guerra, dato che solo la loro forza è necessaria per affrontarla e combatterla, ma padre e figlio hanno scelto di essere fedeli non al paese, ma a qualcosa di più importante: la famiglia.

" L’Italia ci ha già accolto tanti anni fa, offrendoci lavoro e senso di appartenenza a una comunità. Io ero aiuto cuoco, mentre mia moglie faceva la donna delle pulizie. I miei tre figli sono nati qua, in parte quindi ci sentiamo italiani", spiega Salah, che continua: "Questo per noi è un nuovo inizio: come ho detto prima, i nostri figli sono nati in Italia e proprio qui, in questi giorni, abbiamo scoperto una notizia meravigliosa, segno del destino. Presto diventeremo genitori per la quarta volta. Siamo stupiti, ma crediamo sia un segnale: un figlio, in tutto questo caos, sarà la nostra luce. Speriamo sia una femmina".

Non ci sono rimpianti, allora, per papà Salah che, sentendosi cittadino del mondo, non ha sentito un senso di dovere nei confronti dell’Ucraina e ha agito per amore della sua famiglia. C’è chi, però, non è totalmente dello stesso parere, ed è proprio suo figlio maggiore, Abramo. "Tra tanta paura e confusione, probabilmente sarei rimasto lì, a casa mia. Non tanto per una questione patriottica, quanto per essere d’aiuto dando sostegno a chi, purtroppo, è costretto lì e non ha via di fuga", dice il ragazzo pensando con tristezza alla sua vita perduta, ma con lo sguardo volto al presente. Un presente di accoglienza, calore e umanità, in cui perfino gli sconosciuti sono capaci di strappargli un sorriso. "Non vi ringrazierò mai abbastanza per quello che state facendo per noi", afferma Abramo rivolgendosi ai volontari della parrocchia dei Ss. Angeli Custodi , in via Lombardi 37, in zona Bolognina, e a don Marco Baroncini.

La famiglia è stata loro ospite per due settimane nel centro accoglienza e, grazie all’aiuto emotivo e pratico, ora, finalmente, hanno una casa tutta per loro. "I militari, quando sono scappato, non ci stavano reclutando, ma avevano comunque bisogno del nostro aiuto –, racconta Abramo –: fin dai primi giorni di guerra, ho iniziato a scavare e costruire trincee assieme ai miei amici, per dare e avere riparo in caso di attacco improvviso". Il giovane conclude parlando della sua città, Netišyn: "Fare ritorno a casa è un sogno, ma so che è un’immagine ancora molto lontana. Ciò che mi preme di più è tornare per f inire i miei studi, mi manca solo un anno e poi finalmente sarò diplomato. Spero di iniziare a frequentare a breve un istituto bolognese, certo che sarà capace di offrirmi nuove amicizie e la giusta formazione. Oltre che l’umanità, la guerra ci toglie il diritto allo studio, e questa è una delle sconfitte più grandi".

 

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