"I colori di Morandi illuminano la Bolognina"

Peter Schuyff è l’autore del grande murale comparso in questi giorni su un palazzo di via Passarotti: "Una sfida emozionante"

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di Bendetta Cucci

Se la street art è di casa nell’edilizia della Bolognina, con il wall painting di via Passarotti 26 firmato da Peter Schuyff, la posta si è davvero alzata. Perché questa commissione di LOBO Ingegneria e Architettura, che l’artista olandese – basato per tanti anni a New York dove ha lavorato anche allo Studio 54, amico di Warhol che l’ha pure ritratto – ha ricevuto, con la curatela di Daniele Ugolini della galleria Scaramouche di Milano e New York, porta un progetto edile a essere pensato fin dalla sua nascita, in simbiosi con un’opera d’arte. E si distacca da un intervento di street art, per accogliere la concettualità di un artista visivo che ha sviluppato il suo lavoro attorno all’astrazione geometrica ispirandosi in questa occasione a Giorgio Morandi, pensando per la prima volta una sua opera per una superficie così maestosa: untitled misura 33 metri per 10. Una peculiarità ulteriore: Shuyff, non potendo arrivare in Bolognina personalmente per tempo e problematiche legate alla pandemia, ha coordinato l’esecuzione dell’opera con con i muralisti Tristan Vancini e Giorgio Bartocci.

Mr. Schuyff, come ha lavorato a questa opera?

"È stata un’esperienza del tutto nuova, perché ho potuto preparare la mia idea in poco tempo, solo 10 giorni. Ma ho accettato la sfida, anche se non sono riuscito a esserci fisicamente a Bologna, quindi mi sono coordinato con Tristan Vancini in remoto, il che ha dell’eccezionale, perché non è mai successo che io non abbia eseguito un’opera di persona. Bisogna fidarsi tanto di chi lo fa e quindi Tristan ha avuto la mia fiducia al 100%, perché sapevo che avrebbe tradotto alla perfezione la mia idea".

Come ha sviluppato concept e design?

"Mi sarebbe piaciuto entrare maggiormente nell’identità del quartiere, che so comunque avere un passato politico forte, ma il tempo stringeva e l’ho riservato all’approfondimento dell’opera di Giorgio Morandi, che per me è sinonimo di Bologna. Mi sono immerso dopo tanto tempo nella sua arte, ho fatto una selezione dei suoi colori e mi sono reso conto che un tempo mi faceva impazzire quanto i colori fossero delicati, mentre oggi mi appaiono così brillanti".

Cosa ne pensa dell’ingresso dell’arte nell’edilizia abitativa di quartieri periferici?

"È importante capire il contesto di certi interventi e so benissimo che può essere un’operazione a doppio taglio: ho vissuto a New York a inizio anni ’80 e so l’impatto che può avere su un quartiere una scelta di questo tipo. Sono stato mandato via da tante zone per colpa della gentrificazione, perché gli affitti diventavano troppo alti e non potevo permettermeli, ma è qualcosa di inevitabile... Detto ciò trovo che un progetto come questo possa avere un impatto incredibile sulla vita di una città, come i murales di Sol LeWitt a Bari. È come con i fiori, certe opere non cercano di dirti nulla in particolare, forse sono un po’ distaccate, l’interpretazione è personale".

Ovvero?

"Mi ricordo che a Soho c’erano specchi in alto, sui lati dei palazzi. In alcuni casi erano messaggi diretti ai passanti e in altri esperienze astratte, potevano raccontare la vita sulla strada o trasmettere solo un’idea di arte. In definitiva trovo che questa esperienza sia comunque positiva, da qualsiasi punto di vista la si guardi. È una visione animata e piena di luce fatta da un artista che viene da lontano, col suo bagaglio esistenziale molto diverso, forse, dal tessuto sociale così intenso della Bolognina".

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