
Il Trittico di Puccini fa splendere l’Orchestra
È lo spettacolo operistico più atteso della stagione (al Comunale Nouveau fino al 12 luglio): nel centenario della morte di Puccini, c’è la rara possibilità di assistere in una sola serata al suo ’Trittico’, più spesso proposto per singole opere: ’Il tabarro’, ’Suor Angelica’, ’Gianni Schicchi’ (l’ultima esecuzione unitaria a Bologna risaliva al 1993). È d’obbligo cominciare dalla prova superlativa dell’orchestra, che negli ultimi anni ha stabilito un rapporto d’intesa privilegiata con il direttore Roberto Abbado: senza bacchetta, il Maestro ne ha modellato il suono per tre ore piene di musica, facendola cantare puccinianamente ancor più dei personaggi in scena, destinatari in queste partiture di linee vocali spesso dure e spigolose. A dar loro voce, ben 36 cantanti con alcuni nomi che si ripetevano da un’opera all’altra. In particolare quello del soprano Chiara Isotton, applauditissima protagonista di ’Suor Angelica’ e ottima coprotagonista nel ’Tabarro’, a fianco di un inappuntabile Franco Vassallo e di un generoso Roberto Aronica in quella ch’è forse stata la prestazione più convincente. Di spettrale imponenza Chiara Mogini, giunta all’ultimo a ricoprire il ruolo della zia di Angelica. Ottimo rimpiazzo anche quello di Francesco Castoro, recuperato dalla seconda compagnia quale tenore per ’Gianni Schicchi’, a fianco di una delicatissima Darija Augustan e del robusto Roberto De Candia come protagonista. Sul piano scenico, lo spettacolo di Pier Francesco Maestrini è cominciato molto bene. La sua idea di paragonare le tre opere alle tre cantiche dantesche (memore di un progetto sulla ’Divina Commedia’ che Puccini non riuscì a realizzare), non manca di fascino: i portuali che nel ’Tabarro’ si spaccano la schiena sul molo della Senna sono davvero dei dannati al servizio del barcaiolo che li traghetta, come il Caronte nell’Inferno di Dante, e i fondali ispirati alle illustrazioni di Doré completano al meglio il progetto. Ma quando si sovrappongono ai libretti d’opera idee esterne, non sempre il gioco regge fino in fondo. Se così ’Suor Angelica’ funziona ancora come immagine di un Purgatorio in cui espiare il peccato, non c’è nulla di paradisiaco nei corpi nudi dei dannati che facevano da sfondo al ’Gianni Schicchi’. Uno ’Schicchi’ più tragico e infernale di ’Tabarro’ non si era forse mai visto, senza nulla togliere alla realtà che le tre opere ci rappresentino tre inferni in successione: la violenza fisica, psicologica e quella sociale, di cui i rapporti familiari rappresentano purtroppo l’apice.
Marco Beghelli