Le ’prigioni’ di Daria Bignardi: "Le storie più tristi, quelle di donne"

La scrittrice e giornalista presenta lunedì al San Filippo Neri il suo ultimo libro, fra reportage e memoir "Iniziai a fare interviste nel 1988 a San Vittore. Quello della detenzione è un tema che riguarda tutti".

Le ’prigioni’ di Daria Bignardi: "Le storie più tristi, quelle di donne"

Le ’prigioni’ di Daria Bignardi: "Le storie più tristi, quelle di donne"

di Claudio Cumani

Ha portato in tv le sue conversazioni con i carcerati, ha collaborato con il giornale di San Vittore, ha accompagnato la figlia di tre mesi in parlatorio a conoscere il nonno recluso Adriano Sofri, è rimasta in contatto con molti detenuti. Daria Bignardi, nella sua attività giornalistica, ha incontrato ladri, rapinatori e spacciatori ma ha parlato anche con agenti di polizia penitenziaria, giudici e direttori di istituto. Ora su quell’universo ha costruito un reportage narrativo che è al tempo stesso un memoir. O meglio, un viaggio nelle prigioni, vere o interiori che siano. Ogni prigione è un’isola (Mondadori) è il libro che la scrittrice presenta lunedì alle 18 all’oratorio San Filippo Neri, in collaborazione con la libreria della casa editrice. Dialoga con l’autrice Silvia Avallone. Dunque, un libro personale fatto di ritratti, riflessioni, cronaca e ricordi. Ma anche un libro politico perché rivolgere lo sguardo alle prigioni significa riflettere sul cuore della società. Per scriverlo, ovvero per raccontare di libertà e ingiustizie, Bignardi ha scelto di ritirarsi per qualche tempo nella minuscola isola di Linosa.

Quando è entrata per la prima volta in carcere e come si è avvicinata a questo mondo?

"Credo fosse il 1998, ci andai per fare alcune interviste a un gruppo di detenuti di San Vittore e da allora non ho più smesso di avere a che fare con questo o quel carcere".

Qual è, fra le tante, la storia più toccante che ha raccontato?

"Le vicende delle donne detenute sono sempre le più tristi perché, mentre qualche volta gli uomini hanno fuori madri o mogli che si occupano di loro, le donne sono quasi sempre abbandonate dalle famiglie. Quando poi hanno figli sono straziate dalla loro lontananza".

Qualcuno si chiede se la pena sia, in certi casi, una pratica necessaria. Che opinione ha?

"In tutti questi anni le persone con le quali ho parlato, direttori di carcere, agenti o detenuti, mi hanno spesso detto che il carcere è inutile anche perché la recidiva è altissima e pari al settanta per cento. La maggioranza di quelli che entrano in carcere da giovani imparano a delinquere sul serio".

Come va letta la figura dell’agente di custodia rispetto al carcerato?

"Gli agenti di polizia penitenziaria soffrono dei problemi del carcere insieme ai detenuti e spesso gli stessi detenuti sono coloro che meglio capiscono le loro difficoltà".

Quando le parla di prigione interiore a cosa si riferisce?

"A tutte le cose che non ci rendono liberi. E cioé le dipendenze, i dogmi, i legami tossici, le paure...".

Sovraffollamento, suicidi, incapacità di rieducare, violenza: riuscirà mai questa istituzione a risolvere qualche problema?

"Anche se non dovesse riuscirci dobbiamo sperarci e lavorare perché accada. Il carcere è un tema che riguarda tutti, come gli ospedali e la scuola".

Come continuerà la sua esperienza all’interno delle prigioni?

"Come ho fatto finora, immagino. Partecipando a questa o a quella realtà e andando dove mi portano gli incontri. In realtà non sono costante e ho bisogno di periodi di lontananza dal carcere. Ma poi ci ritorno sempre".

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