L’omicidio di Kristina Condanna a trent’anni per l’ex fidanzato Il giudice: "È pericoloso"

Giuseppe Cappello però non va in carcere e resta ai domiciliari. Disposte provvisionali da 100mila euro per i parenti della 27enne. e da 10mila euro per l’associazione che tutela le vittime di stalking. .

L’omicidio di Kristina  Condanna a trent’anni  per l’ex fidanzato  Il giudice: "È pericoloso"

L’omicidio di Kristina Condanna a trent’anni per l’ex fidanzato Il giudice: "È pericoloso"

di Chiara Caravelli

Occhiali scuri e un’espressione che non lasciava trapelare niente. Giuseppe Cappello, 45 anni, ha ascoltato in silenzio la lettura della sentenza che lo condanna a 30 anni di reclusione per l’omicidio dell’ex fidanzata Kristina Gallo, poi è uscito dall’aula senza rilasciare alcuna dichiarazione. Il gup Sandro Pecorella ha quindi accolto la richiesta del procuratore aggiunto Francesco Caleca, avanzata nei giorni scorsi al termine della sua requisitoria. Per Cappello, che ha affrontato il processo di primo grado in rito abbreviato difeso dagli avvocati Gabriele Bordoni e Alessandra Di Gianvincenzo, l’accusa era di omicidio aggravato dallo stalking: il corpo di Kristina Gallo, all’epoca ventisettenne, fu trovato il 26 marzo 2019 nella sua abitazione di via Andrea da Faenza, in Bolognina. Fu il fratello della giovane mamma, preoccupato perché non la sentiva da giorni, a fare la macabra scoperta.

Il quarantacinquenne, dichiarato "socialmente pericoloso" era stato arrestato a luglio dello scorso anno, ma rimarrà ai domiciliari dove si trova dalla fine del 2022. Il gup Sandro Pecorella ha inoltre disposto provvisionali da 100mila euro a favore della famiglia (costituiti parte civile i genitori, il fratello e la figlia di 11 anni di Kristina) assistiti dagli avvocati Francesco Cardile e Cesarina Mitaritonna, e da 10mila euro per l’associazione ‘La caramella buona’, rappresentata dall’avvocata Barbara Iannuccelli.

Il procuratore aggiunto Caleca, nella sua requisitoria, aveva presentato i punti fermi emersi dalle indagini condotte dai carabinieri del Nucleo investigativo di Bologna. Nonostante le varie perizie non abbiano mai stabilito con certezza quali siano state le cause del decesso di Kristina, per l’accusa un elemento granitico c’è: quando è morta, presumibilmente tra il 21 e il 24 marzo 2019, la giovane mamma non era sola. E l’unica persona che poteva essere con lei era proprio Giuseppe Cappello. Secondo Caleca, inoltre, il quarantacinquenne aveva motivo di uccidere Kristina: la ricerca del movente sta "nella sopraggiunta impossibilità di mantenere in piedi il castello di menzogne che aveva costruito", in quanto Cappello conduceva una doppia vita all’insaputa della moglie. Inoltre l’imputato "ha mentito ripetutamente alle autorità su ogni circostanza, dal rapporto con la donna, agli atti di violenza, all’ultima volta che l’ha vista".

La morte della giovane mamma, da ieri, ha quindi un colpevole. Una sentenza che arriva quattro anni dopo il ritrovamento del corpo, ma soprattutto dopo tante domande, dubbi e punti oscuri. Una morte che fin da subito è sembrata molto strana: il corpo della giovane, nudo, con la pancia all’aria, è stato trovato con una parte sotto al letto, l’altra fuori. E con evidenti graffi. Per il medico legale di allora, si trattava di morte naturale: le lesioni presenti sul corpo della vittima vennero attribuite al cane Rottweiler della ragazza. Poi, il corpo fu cremato.

Ma l’esito non convinse la famiglia di Kristina che impugnò l’atto della Procura: il gip accolse la richiesta disponendo nuovi accertamenti. Qui, il primo colpo di scena. La consulenza tecnica affidata a Cristina Cattaneo e Biagio Eugenio Leone portò alla luce vari elementi di notevole importanza: la posizione in cui era stato trovato il corpo non poteva essere quella in cui Kristina era morta, ma soprattutto il Dna di Cappello rinvenuto sotto le unghie della vittima, forse nel vano tentativo di difendersi.

Un rapporto, quello tra la giovane mamma e il quarantacinquenne, molto difficile e burrascoso. Un rapporto in cui, secondo la Procura, la ragazza veniva picchiata, minacciata, soggiogata e privata di contatti liberi con familiari e figlia o di indossare vestiti "che ne esaltassero la femminilità". Tutti comportamenti attribuiti a Giuseppe Cappello, lo stesso uomo che, dal momento del ritrovamento del corpo, si è sempre dichiarato innocente. Un’innocenza a cui però il gup Sandro Pecorella non ha creduto, condannandolo a 30 anni di reclusione.

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