Maurizio Cevenini, il ricordo della figlia: "Dieci anni senza il Cev"

Federica: "La sua morte è una cicatrice su Bologna. Per questa città ha fatto molto e ha ricevuto tantissimo affetto. La sua politica gentile andrebbe riscoperta"

Bologna, 8 maggio 2022 - Dieci anni dopo quell’inspiegabile 8 maggio 2012 la sensazione è sempre la stessa: impossibile pensare che il Cev, al secolo Maurizio Cevenini, non c’è più. Impossibile, quasi, anche scriverlo. La sua morte, come dice la figlia Federica (guarda la video intervista), è ancora una "cicatrice sulla città". La città che lui amava con tutto il cuore, contraccambiato in quel modo genuino e sincero che è stato una delle cifre stilistiche e politiche della sua lunga carriera. Durante la quale è stato, tra le altre cose, consigliere comunale e regionale, presidente del Consiglio provinciale e, soprattutto, Mister Preferenze: in grado, da solo, con valanghe di voti tutti suoi, di far vincere il suo partito, il Pd, anche nelle tornate elettorali più complicate. Dieci anni dopo una cosa è certa, comunque: se le targhe commemorative sbiadiscono, se le foto ingialliscono o si perdono in qualche archivio digitale, il ricordo del Cev no.

Federica, come raccontare il Cev a chi non l’ha mai conosciuto e che magari, in questi ultimi dieci anni, ne ha sentito solo parlare dai media?

"È una domanda che mi sono fatta spesso, soprattutto in relazione a come ricordarlo con i miei figli. Mio babbo non è un personaggio facile da raccontare a chi non lo ha mai conosciuto, perché il racconto, da solo, non è in grado di restituire quelle che erano le sue caratteristiche uniche".

Quali?

"Aveva una disponibilità incredibile con tutti. Era una persona aperta, in grado di adattarsi a chi aveva davanti pur rimanendo sempre se stesso e che riusciva a capire quello di cui aveva bisogno il suo interlocutore. E questo lo rendeva un politico atipico".

Dovesse usare poche parole?

"Direi: provate a immaginare il sindaco che vorreste per Bologna, qualcuno che assomigli alla sua città, accogliente e aperta. Questo era il Cev".

In dieci anni la politica è cambiata radicalmente: suo padre avrebbe ancora avuto il suo posto? E se sì, quale?

"A Bologna sicuramente. Non lo si può immaginare scisso dalla sua città e dai suoi cittadini, dalle iniziative, dagli eventi, dallo stadio, da Palazzo d’Accursio".

Sicura che l’ondata sovranista e populista non avrebbe ammaccato anche la ‘politica gentile’ del Cev, che i suoi detrattori bollavano come troppo debole?

"Mio padre aveva la capacità di cambiare e di adattarsi ai tempi, pur rimanendo, per me ma non solo per me, un esempio di coerenza. E poi sapeva anche affrontare lo scontro, quando serviva. Per questo credo che sarebbe riuscito a non farsi influenzare da questi tempi così caotici. E anche che sarebbe riuscito a togliersi altre soddisfazioni. Basta vedere fin dove è arrivato con il suo stile, e il tipo di apprezzamento che ha raggiunto da parte dei cittadini. Questo mi fa pensare che chi urla magari inizialmente viene preso più sul serio, ma poi alla fine la sostanza viene fuori. Anche oggi".

Quanto ha inciso la politica nella vita di suo padre?

"Beh, era tutto. Ogni tipo di relazione che aveva era fare politica, e la politica era parte integrante del suo modo di essere. Molti non l’hanno capito o l’hanno sottovalutato, ma anche andare a una pesca di beneficenza per lui era fare politica, perché in quel modo capiva cosa pensava la gente. Lui si divertiva, e la sua politica divertente catturava le persone, compresi i più giovani".

Cosa è rimasto del Cev, dieci anni dopo?

"Senz’altro il suo stile e il suo esempio, che tanti cercano di imitare. Prima mi dava un po’ fastidio essere riconosciuta solo perché ero la figlia del Cev, ora invece mi fa piacere sapere che tantissime persone lo ricordano con affetto. Questa memoria è come una cicatrice su Bologna: un segno indelebile, ma non per questo negativo".

E di lui cosa andrebbe invece riscoperto?

"Il suo modo di fare politica. La capacità di confrontarsi con tutti, di affrontare lo scontro, ma con leggerezza, senza attacchi personali o colpi bassi, che altro non era che un modo di relazionarsi agli altri da vero personaggio pubblico. Ecco, sarebbe bello che Bologna riscoprisse questa cosa, perché mio babbo a questa città ha dedicato tutta la sua vita. Era la sua passione e, mi viene da dire, la sua natura intrinseca".

A lei quale eredità ha lasciato il Cev?

"Non è proprio un’eredità, ma direi più un obiettivo. Anche io vorrei avere la sua naturalezza ad adattarsi alle persone e alle situazioni. Non è facile, però è una bella cosa che non vorrei andasse persa".

E alla politica e alla sua Bologna?

"Alla politica ha lasciato diversi esponenti che cercano di seguire quella che io chiamo ‘la politica del Cev’, gentile e fatta di contatto con le persone. Sarebbe bello che qualcuno riuscisse a portarla avanti come faceva lui. A Bologna ha invece lasciato il ricordo: nei suoi confronti, dieci anni dopo, c’è ancora un affetto vero e sincero. E questo significa che qualcosa ha fatto per la sua città e i suoi cittadini. Qualcosa di importante".

 

 

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