PAOLA BENEDETTA MANCA
Cronaca

Bologna, operazione Ragnatela: nasconde soldi per evitare il sequestro di beni: in carcere

Ancora un tassello dell'indagine che ha portato a 23 indagati e 2 arresti per gestione illecita di una casa di riposo in Appennino. L'arrestato vicino a cosca mafiosa

Operazione Ragnatela della Guardia di Finanza di Bologna (archivio)

Operazione Ragnatela della Guardia di Finanza di Bologna (archivio)

Bologna 18 novembre 2021 - Dagli arresti domiciliari al carcere. È finito dietro le sbarre uno degli indagati nell’ambito dell’operazione 'Ragnatela' che, a fine ottobre, aveva portato alla scoperta di un sistema di gestione illecita di una casa di riposo ad Alto Reno Terme, nell’Appennino bolognese, con misure cautelari eseguite nei confronti di due crotonesi dai militari dei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Bologna e un sequestro preventivo nei loro confronti e di altre 21 persone fisiche o giuridiche per due milioni di euro.

L'uomo finito in carcere, durante il periodo di detenzione ai domiciliari, avrebbe messo in pratica altre attività criminose, trasferendo oltre 65 mila euro da una società a lui riconducibile a una terza impresa, nel tentativo di sottrarli al sequestro preventivo in atto. Era già destinatario, infatti, di un provvedimento di sequestro diretto e “per equivalente” fino a 2 milioni di euro, in relazione a un lista nutritissima di reati: associazione per delinquere, estorsione aggravata dal cosiddetto “metodo mafioso”, bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e per operazioni dolose, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, emissione di fatture per operazioni inesistenti, spendita e introduzione nello Stato di monete falsificate.

L'inizio dell'indagine

Tutto inizia a Gaggio Montano, nell’Appennino bolognese. I carabinieri fermano due persone di origine crotonese ma residenti in Lombardia, un 59enne a Legnano e un 61enne a Cernusco sul Naviglio. La presenza in Emilia dei due, che gli inquirenti considerano vicini a una cosca mafiosa, insospettisce i militari che, dopo aver indagato, scoprono l’esistenza della “ragnatela” che ha dato il nome all’operazione dei militari. Una vera e propria “consorteria criminale” come l’hanno definita gli inquirenti che, alla fine del 2015, è subentrata nella gestione di una società titolare di una residenza per anziani ad Alto Reno Terme (Bologna) che era in stato di dissesto economico-finanziario. Lo scopo era mettere le mani sull'azienda e sull'immobile, il cui valore complessivo è stimato attorno ai 7,5 milioni. Il gruppo criminale, svuotando la liquidità della vecchia società, oberata da debiti per 4,4 milioni di euro principalmente verso l’Erario ed enti previdenziali e assistenziali, l’aveva portata al fallimento, creando una nuova cooperativa e utilizzando per questo scopo alcuni prestanome.

Minacce con "modalità mafiose" verso i dipendenti

Ma per portare a compimento il disegno criminoso, il gruppo aveva bisogno che i dipendenti si licenziassero dalla vecchia società per essere riassunti dalla loro nuova cooperativa. Per costringerli a farlo, li minacciavano e intimidivano sistematicamente con "modalità tipicamente mafiose", come hanno scoperto gli investigatori, e prevaricazioni di vario genere: demansionamenti, mancata corresponsione delle retribuzioni e fruizione di ferie forzate. Fino a minacciarli di licenziarli in tronco se si fossero rifiutati di assecondare il loro piano. I provvedimenti nei confronti dei 23 indagati sono stati emessi dal gip del Tribunale di Bologna, Alberto Ziroldi, su richiesta del pm della Direzione distrettuale antimafia da Roberto Ceroni. Le accuse sono, come per l’indagato finito in carcere, associazione per delinquere, estorsione aggravata dal metodo mafioso, bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e per operazioni dolose, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, emissione di fatture per operazioni inesistenti, spendita e introduzione nello Stato di monete falsificate. Oggi, l’ultimo tassello di questa vicenda, con il trasferimento in carcere dell’uomo. Il gip Ziroldi, su richiesta della locale Ddda, ha disposto l’applicazione della misura di massimo rigore ritenendola “la sola idonea a contrastare efficacemente le esigenze cautelari”.  

 

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