"La Romagna è la California d’Italia. Una zona con delle peculiarità che nessuno possiede, tuttavia negli anni vi è stata una sottovalutazione della precarietà dei territori". Inizia così il discorso di Antonio Patuelli, presidente dell’Abi (Associazione bancaria italiana), all’interno della sede di Unioncamere a Bologna. Parlando di fronte a un folto gruppo di imprenditori e istituzioni regionali, Patuelli ha detto che "serve una legge speciale sui fiumi. Non si gestisce un fenomeno così grande con l’ordinaria amministrazione delle normative nazionali. I nostri sono fiumi pensili, con l’alveo più alto delle abitazioni sottostanti. Dobbiamo avere consapevolezza che una gran parte dell’Emilia-Romagna è paludosa e lo è da centinaia di anni, l’attuale uniformazione delle normative appiattisce le diversità del territorio".
Anche se "le zone economiche più forti sono in Emilia - continua Patuelli -, una terra solida, ricca e non di bonifica. Infatti, Ferrara, Parma, Modena e Bologna sono formidabili a livello europeo. Bisogna comprendere che, sia Emilia che Romagna, nonostante le loro differenze storiche, possono crescere assieme utilizzando tutte le loro potenzialità".
In Romagna, inoltre, "abbiamo zone basse tutelate, ma se non abbiamo la sensazione di queste diversità – continua Patuelli -, poi ci si sorprende che un fiume che non aveva foce e non aveva argini causi i danni che ha creato".
Un invito, quindi, "a guardare alla storia di questo territorio, le differenze presenti in regione non sono frutto della cattiveria degli uni o dell’incapacità di altri, ma sono il prodotto di storie profonde", dice Patuelli ricordando il suo passato.
E menziona i momenti dell’alluvione della scorsa settimana. "Il Lamone è esondato a Traversara di Bagnacavallo, una volta questo fiume non aveva la foce in Adriatico – evidenzia Patuelli – e confluiva in una palude poi bonificata a fine anni ’50 quando l’alveo è stato fatto ex novo nella parte della bonifica. Quindi, la foce è nuova".
Il presidente dell’associazione bancaria italiana si focalizza su altri fiumi italiani: "Il Po, ad esempio, finito il suo bacino, ne nasce un altro formato da diversi torrentacci che hanno un comportamento simile all’Arno nel versante continuo fiorentino – parla Patuelli - . Quella parte del Po, tuttavia, non ha avuto gli interventi strutturali che invece hanno permesso all’Arno di non mandare di nuovo sott’acqua tutta Firenze dopo l’alluvione del 1966".