Pupi Avati: "Ho esplorato la mia metà oscura per scoprire un ragazzo in soffitta"

Il primo romanzo dell'artista

Pupi Avati

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Bologna, 26 marzo 2015 - Pupi Avati, una prima volta e un ritorno. Il primo romanzo e un ritorno alla metà oscura...

«Il ragazzo in soffitta nasce dal fatto che un editore prestigioso come Guanda, dopo aver apprezzato la mia autobiografia, mi ha contattato dicendo: ma perché non ha mai pensato di scrivere qualcosa che non nasca necessariamente dalla costola di un film. Mi sono sentito lusingato e ho vinto i dubbi».

Il ritorno al noir, al gotico...

«Un genere nel quale mi trovo abbastanza a mio agio... Bussava da tempo alla mia porta la curiosità di indagare il perché un essere umano si trasformi in un mostro, come un individuo possa arrivare a compiere un gesto di violenza inaudita. Come diventi qualcosa di così lontano da noi, pur avendo condiviso con noi un tratto della vita. E’ stato bambino tra bambini, ragazzino tra ragazzini, magari ha frequentato l’oratorio, gli scout, il bar con gli amici... poi un giorno te lo ritrovi davanti e scopri un mostro. E tutto è apparentemente inspiegabile. Viene condannato da società e giustizia ma senza spiegazioni profonde».

La genesi di un mostro.

«Se vai a indagare non voglio dire che lo giustifichi ma puoi capire molte cose».

Tipo?

«La definirei distribuzione di responsabilità e la colpa non è da additare demagogicamente solo alla società. Nell’arco del percorso si possono individuare soggetti penalmente non perseguibili ma che hanno avuto un ruolo estremamente negativo nei confronti di queste persone, contribuendo in qualche modo alla formazione di un carattere».

E questo noir, come in tanto suo cinema, è anche una storia di ragazzi...

«Due ragazzi di oggi, uno che abita in un bel palazzo nel centro storico di Bologna, un palazzo che ha una soffitta, dove lui non è mai salito e in quella soffitta un giorno va a vivere con la madre un coetaneo. Ovviamente quella soffitta misteriosissima racchiuderà una serie di sorprese...».

L’idea: auobiografia, libero sfogo alla fantasia o un mix tra le due cose?

«Sono un frequentatore assiduo di persone disturbate di mente: nella mia rubrica telefonica, tra centinaia di numeri, la percentuale maggiore non è quella di colleghi o parenti ma di ‘matti’. Se dovessi catalogare i numeri con un colore, sarebbero quelli che prendono il sopravvento».

Frequentazioni sicuramente stimolanti per un artista ma...

«Guardi, anche nella qualità di interlocuzione: con loro mi sono impratichito nel dialogo, mi piace, sono totalmente imprevedibili. Io sono una persona estremanente ragionevole e quindi rispondo ragionevolmente a persone che in realtà non sai cosa ti diranno o come ti risponderanno. E alla fine della telefonata, lo confesso, prendo appunti».

Mentre i cosiddetti ‘normali’...

«Guardiamo un dibattito in tv di qualsiasi natura: potremmo silenziare l’audio e doppiare chi sta parlando perché segue una logica, quello che si deve dire per appartenere a una società civile».

Sulla sanità mentale di chi frequenta i salotti tv avrei dei dubbi.

«I cosiddetti ‘matti’ ti danno invece degli apporti sorprendenti: appartengono a loro stessi, alla loro libertà, possono essere estremamente creativi».

Ma anche estremamente pericolosi, come questo romanzo insegna.

«Chi mi vuole bene si preoccupa. Sono successe anche cose che non racconto, siamo stati esposti fisicamente a qualche rischio».

Che siano ‘matti’ o ‘mostri’ lei conferma uno sguardo permeato di pietas...

«Sono molto incuriosito dal loro background e penso che permanga dentro di loro quello che sono stati...».

Tracce biografiche nel romanzo?

«C’è un lato autobiografico fortissimo: una sorta di basso continuo che mi accompagna da quando ragazzo ho sognato una cosa che non si è realizzata per la mia mancanza di talento...».

Cosa?

«La musica. E ho pensato: se mi fossi ostinato a obbedire a questa ossessione, se avessi inseguito con ostinazione questa illusione di sogno nello scarso apprezzamento generale, nel confronto con quelli bravi, cosa sarebbe potuto succedere? E’ stato un momento doloroso della mia vita ma dal quale sono uscito rafforzato. Nel romanzo lo spunto si trasfigura nella vicenda di un ragazzino al quale viene imposto di diventare un grande violinista...».

Dalla pagina allo schermo o no?

«Questa, per la prima volta, è una storia totalmente e definitivamente risolta sulla pagina».

Lo schermo, piccolo o grande, però non può attendere.

«Stiamo immaginando di girare per la Rai il numero zero di una serie che riguarda il Vangelo e di come il pensiero del Vangelo sia una lezione ancora necessaria alla quale ispirarsi nel quotidiano. Racconteremo la parabola delle Nozze di Cana ambientandola nel mondo degli agrumeti, in Calabria».

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