Pupi Avati "I 'fantasmi' di una storia d'amore. Così combatto l'isolamento della pandemia"

Oggi esce l’ultimo film del grande regista, 'Lei mi parla ancora': la nostra intervista per la newsletter 'Buongiorno Bologna'

Pupi Avati

Pupi Avati

Bologna, 8 febbraio 2021 - Pupi Avati, il suo ultimo film 'Lei mi parla ancora' è una storia d’amore che a me sembra una storia di fantasmi... "La sensazione che questi personaggi persistano nell’aldilà della morte fisica? L’ho avuta anch’io".

Il film di Pupi Avati dall’8 febbraio su Sky. Elisabetta Sgarbi: "Storia d’amore e di coraggio"

Dove, quando? "Entrando a Ro Ferrarese nella casa della famiglia Sgarbi, entrando nella cucina, muovendomi nelle stanze, tra le tante tracce che hanno lasciato". Una casa-museo. O mausoleo. "È come se fosse stata abitata da una persona che aveva paura di non lasciare tracce di sé. Quella casa, piena di un oggetistica che si è andata ad accumulare nel tempo, pare dica una cosa: ‘io sono ancora qui’". In fondo anche la frase significante del titolo è qualcosa di dolcemente arcano. "’Lei mi parla ancora’, si intrasente, quando il personaggio del ghostwriter interpretato da Fabrizio Gifuni ode di notte il vecchio Sgarbi che parla da solo, nella sua camera da letto. Quando abbiamo girato la scena, era verosimile intuire la presenza di Rina Sgarbi". Allora è corretto, anche e metaforicamente di ’fantasmi’ parliamo... "Presenze non gotiche, non orrorifiche, ma accoglienti. Quando mi hanno comunicato che Giuseppe Sgarbi non c’era più...era come lo sentissi ancora. Quell’idea di immortalità che ricorre nella storia d’amore durata più di 60 anni tra Rina e Giuseppe Sgarbi, l’ho accentuata attraverso l’invenzione di una lettera: una promessa, appunto, di immortalità". Come siete entrati in sintonia con Giuseppe Sgarbi? "Elisabetta Sgarbi ogni week-end da Milano tornava a Ro Ferrarese e gli faceva vedere due o tre miei film, poi mi telefonavano e parlavamo… avevamo molte cose in comune. Non è un caso se molti dei miei film riguardano la nostra terra, l’Emilia Romagna; lui era più vecchio di me ma la cultura contadina dalla quale povenivamo, quella cultura del buon senso, ci accomunava. L’aver realizzato questo film mi sembra un impegno mantenuto". Il film è uscito direttamente su Sky, ma lei sperava tantissimo in un’uscita nelle sale. "E lo spero ancora, esiste ancora questa possibilità. Adesso la programmazione su Sky è una grande opportunità; il fatto che il film venga visto da tantissime persone, oggi, senza l’attesa snervante di mesi per arrivare in sala. Perdipiù con la prospettiva di uscire tra luglio e agosto". Una sua ipotesi l’uscita estiva nei cinema? "No, me l’avevano proprio prospettato. Con Il Signor Diavolo ho pagato salato il prezzo di un’uscita estiva: se vogliamo, un tentativo anche coraggioso, ma fallito. Essere recidivi poi… Dall’altra parte ho incontrato l’entusiasmo di Sky: raramente la committenza è stata così calorosa e sincera, ho fatto troppi film per non saperlo". Quindi le porte dei cinema non si apriranno per questo film? "Oggi i cinema sono chiusi, ma l’accordo con Sky è quello di poter ricorrere all’uscita cinematografica nel momento in cui le sale potramnno riaccendere gli schermi. E comunque nel periodo più giusto. Io lo so come verrebbe accolto un film così in sala: è un film commovente, andrebbe visto con accanto altri spettatori, nel rito della sala". La pandemia ha decretato la morte delle sale o ha inferto solo una ferita grave? "Se non si provvede rapidamente a creare una ’nostalgia’ della sala quell’emozione è destinata a perdersi. Il cinema sta uscendo dalle abitudini degli italiani: senti dire che voglia che ho di tornare al ristorante, che voglia che ho di andare al mare… ma nessuno per ora rimpiange il cinema anche perché il cinema ha continuato ad esserci, anzi l’offerta di cinema si è ampliata. La gente vede più film adesso di quando andava nelle sale. Allora quanti film potevano vedere in una settimana? Un paio al massimo. Mia moglie oggi vede tre film al giorno e la quantità di film è destinata ad aumentare: non ci sarà un problema di occupazione per quanto riguarda i lavoratori del cinema, il problema enorme sarà per l’esercizio cinematografico". Vedere un film in sala o a casa: una rivoluzione copernicana. "Sa qual è la differenza sostanziale? In sala è il film che ’comanda’. Mai visto nssuno alzarsi e andare via dopo che ha pagato il biglietto. In casa, con il telecomando tra le mani, se il film non ti ha preso nei primi cinque minuti parti con lo zapping. E poi in che condizioni vedi un film? Il telefono che suona, i rumori, la disattenzione… tutta la cura che hai messo nelle atmosfere... pensiamo solo agli effetti sonori tipo il frinire delle cicale: qui in sottofondo, qui più forti... e come fai a percepirlo mentre i bambini corrono e gridano. La sala ha la sacralità del silenzio". La sua sfida di stupire il pubblico riconvertendo determinati attori e rivoluzionando la loro immagine, è stata applicata anche qui con Renato Pozzetto. "Dico sempre che il cinema italiano ha il difetto di utilizzare sempre gli stessi volti e sempre negli stessi ruoli. Io mi oppongo. E rischio". Vincendo. Questo ’Lei mi parla ancora’ per Pozzetto è il film della vita. "L’ha detto lei, ma ne sono convinto anch’io". E dire che ci doveva essere un altro nei panni di Giuseppe Sgarbi. "Massimo Boldi, con cui avevo lavorato tanti anni fa in Festival . Eravamo già ai costumi provati, al trucco dell’invecchiamento approntato: è andato via scegliendo di fare Natale su Marte ". Il film è appena uscito su Sky e... "E il calore che questo film riscuote da parte mia era totalmente inatteso: era da 10-15 anni che non ricevevo una risposta così unanime. E soprattutto intergenerazionale. Forse contribuisce il fatto di aver riportato sotto i riflettori una storia d’amore vera. E di questi tempi, probabilmente, ne abbiamo tanto bisogno".  

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