Basket, il mondo ’a spicchi’ di Andrea Neri: "Livio, guarda: tutto questo è dedicato a te"

Da giocatore a punto di riferimento della società intitolata al fratello: "È una grande responsabilità. Devo e voglio essere un esempio"

Basket, il mondo ’a spicchi’ di Andrea Neri: "Livio, guarda: tutto questo è dedicato a te"

Basket, il mondo ’a spicchi’ di Andrea Neri: "Livio, guarda: tutto questo è dedicato a te"

di Luca Ravaglia

"Perché anche ora, adulto, mi ostino a ignorare il mal di schiena e continuo a inseguire palloni da basket? Perché ogni volta che lo faccio è come se fossi ancora il ragazzino spensierato, che cresceva insieme agli amici, che si divertiva un mondo, che costruiva ricordi che dureranno una vita". Ride di gusto Andrea Neri, anno di nascita 1981, secondo di una famiglia di tre fratelli, tutti maschi, tutti con una passione: il basket. Ora però Andrea è diventato il più grande, perché Livio, quello da cui tutto è partito, non c’è più. C’è però una squadra che porta il suo nome, che ha messo solide radici in città e della quale Andrea è un allenatore.

Neri, intorno al pallone ha fatto di tutto.

"Ho cominciato giocando, prima in quella che era la Basket 82 e poi nella Libertas Cesena, con la quale conquistai la promozione dalla D alla C2. Ma ho progressivamente allargato il cerchio, cominciando ad allenare e pure ad arbitrare. Ho sempre messo impegno e determinazione: per sette anni sono stato pure ‘fischietto’ in C Gold". Anche ora il pallone la accompagna sempre.

"È al terzo posto, dopo mia figlia Arianna, che ha sei anni – e ovviamente gioca a baket – e la mia compagna Chiara, che invece è podista. È stato, è e resterà sempre nel mio cuore".

Cos’ha di speciale?

"Tutto. A partire dai ricordi. Nel 2012 io e gli amici di sempre siamo diventati campioni d’Italia Uisp, da ripescati dell’ultimo minuto alla fase finale. Andammo per divertirci e vincemmo. Per caso? No, perché ci mettevamo il cuore, perché quello era il nostro mondo, lo spogliatoio la nostra casa. Perché ci conoscevamo a memoria. Perché niente è come essere sul parquet insieme alle persone giuste".

E dopo?

"Dopo andammo ai mondiali, in Bulgaria. Pazzesco, era come essere alle Olimpiadi… I nostri avversari erano fortissimi. In certi casi, addirittura paragonabili ai professionisti. Eppure arrivammo quarti…".

Ora è parte integrante della società che porta il nome di suo fratello.

"Per me è una grande responsabilità. Devo, ma soprattutto voglio, essere un esempio. Da statuto io e mio fratello Fulvio siamo gli unici due autorizzati a indossare il numero 14, quello che aveva Livio. Ma non lo porto. Io ho il 77, io non sono Livio, ma ricordo benissimo ciò che faceva lui, come riusciva a entrare nel cuore delle persone. Vado in campo nel suo nome, cercando prima di tutto di educare, a stare in campo e a vivere la vita. Ci metto il cuore, col mio sorriso, col mio spirito goliardico, con la voglia di stemperare tutti i problemi. Con l’intento di accompagnare i ragazzi che crescono".

È educatore anche di professione.

"Lavoro alla Domus Coop, fianco a fianco con giovani che vivono situazioni complicate. È un lavoro che mi ha aperto gli occhi, che mi ha fatto capire che nella vita non c’è solo il bello. È un lavoro meraviglioso".

Intanto il basket rimane.

"Alla ‘Livio Neri’ alleno, ma gioco anche. Abbiamo due squadre senior, che fanno il campionato del Centro sportivo. Una le vince tutte, nell’altra crescono le giovani leve. Indovinate dove sono io…".

E il mal di schiena?

"Sto dove voglio essere, insieme ad amici che quando ero un ragazzino andavo a vedere giocare, tifando per loro. Ora ‘Cece’ o ‘Filo’, quando cado, sono i primi a venirmi incontro, allungano una mano. Chi lo sente il mal di schiena?".

Le piace pensare che Livio almeno ogni tanto butti un occhio verso di voi e sorrida?

"Sorrida? Conto che faccia molto di più… In suo nome stiamo creando una figata pazzesca!".