REDAZIONE CESENA

Batec, il pescatore che non tornò mai in porto

"Batec", al secolo Nino Galassi, era un eccentrico pescatore scomparso nel 1928 al largo di Cervia. Viveva solo in una piccola casetta, si spingeva al largo e vendeva solo pesce di pezzature elevate. Il mare non restituì il suo corpo, ma i vecchi pescatori credettero che l'avesse ripagato a modo suo.

Fino a qualche decennio fa i vecchi pescatori di Cesenatico ricordavano ancora "Batec", al secolo Nino Galassi, un eccentrico pescatore, misteriosamente scomparso nel lontano 1928 al largo di Cervia e mai più ritrovato. In uno scritto anonimo viene riportata la sua storia, perché ben pochi in paese conoscevano il suo vero nome; per la gente del posto era "Batec" ("bastone"), un soprannome che gli amici gli avevano affibbiato per via della sua elevata statura e del suo incedere ritto ed austero quasi innaturale, come avesse incollato dietro la schiena per l’appunto un "bastone". A cinquant’anni suonati "Batec", in buona forma, viveva ancora solo in una piccola e disadorna casetta nei pressi del faro, con porta d’ingresso e finestre perennemente spalancate, persino durante le frequenti assenze, quasi a voler annullare ogni confine fisico tra lui e il suo mare. A differenza dei colleghi infatti, nelle solitarie battute di pesca, si spingeva cosi al largo da rimanerci spesso anche qualche giorno, e nessuno si sapeva spiegare come una lancia dalle dimensioni così ridotte come la sua potesse affrontare impunemente le avverse condizioni del mare aperto. Il rientro di "Batec" in porto coincideva con l’apertura del mercato del pesce, e rappresentava un evento per i presenti. Lo sguardo fiero al timone della sua "Ginetta", il viso perfettamente rasato, con in testa il suo inseparabile cappello a cencio, e indosso un giaccone di lana scozzese che gli rendevano un aspetto rilassato e signorile, all’opposto degli altri pescatori. Il pesce di "Batec" era - e questo bisognava riconoscerlo - il migliore sulla piazza. Innanzitutto lo vendeva sempre rigorosamente vivo: lo estraeva con un retino da una specie di tinozza incassata nella chiglia della barca e suddivisa in tre scomparti per evitare dannosi contatti tra le varie specie; lo tramortiva con un colpetto deciso sul capo e dopo averlo pesato lo adagiava, senza mai sovrapporlo, in un letto di lattuga verde dentro a minuscole cassette di legno. Si trattava esclusivamente di pezzature elevate perché il pesce piccolo lo ributtava in mare. E quando in un freddo mattino di novembre a poche miglia dal porto di Cervia trovarono la sua "Ginetta" abbandonata con le reti calate, non si pensò subito ad una disgrazia (malgrado qualcuno ricordasse di averlo più volte sentito dire di non sapere nuotare) e gli amici non smisero di cercarlo per un’intera settimana. Il mare si dimenticò di restituire il suo corpo o forse non si dimenticò affatto. All’epoca i vecchi pescatori, memorie viventi di quel mondo in via d’estinzione, vollero credere che il "loro" mare - che non fa sconti a nessuno, né regali - abbia saputo ripagare a modo suo le proprie creature: i pesci, i gabbiani, gli uomini di mare come "Batec".

Edoardo Turci