Rimini, 1 ottobre 2024 – Mamma Tonina, che non ha mai smesso di combattere per la verità, lo va ripetendo da vent’anni: “Marco è morto di fatto il 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio quando è stato squalificato dal Giro d’Italia. L’hanno fregato quel giorno. Da allora non è stato più lui”. Da lì iniziò la fine del Pirata. Fino alla tragedia di Rimini: il campione di Cesenatico fu trovato morto in una stanza dell’hotel Le Rose di Rimini il 14 febbraio 2004, 5 anni dopo i fatti di Madonna di Campiglio.
I sospetti e i dubbi sulla morte ’sportiva’ del campione e quella dell’uomo, per l’ennesima volta, tornano a incrociarsi. A luglio la Procura di Trento, dopo l’esposto degli avvocati della famiglia di Pantani, ha riaperto il caso di Madonna di Campiglio con una nuova indagine. Il sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Trento, Patrizia Foiera, ha aperto un fascicolo contro ignoti per “associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle scommesse clandestine e collegata al decesso di Pantani”.
E sono stati sentiti in questi giorni, come testimoni, anche due agenti in servizio all’epoca alla polizia scientifica, che eseguirono gli accertamenti sulla morte del Pirata a Rimini. Tra questi l’allora assistente capo Maria Teresa Bisogni: “Ci diedero disposizioni affinché io e il collega aspettassimo fuori. Prima entrarono altri nella camera dove morì Marco Pantani. La cosa mi parve strana in quanto sulla scena del fatto su cui si indaga, a mio parere, per primi dovrebbero entrare gli operatori della scientifica opportunamente attrezzati con i calzari, i guanti e le tute”. La Bisogni aveva già rivelato questi particolari nel dicembre 2004, durante la prima indagine sul decesso del Pirata. Raccontando come il magistrato di turno e due poliziotti, arrivati all’hotel Le Rose dopo lei e il collega, chiesero loro di attendere prima di entrare nella stanza D5, dove Pantani era stato trovato morto. E le sue dichiarazioni sono finite poi anche agli atti della commissione parlamentare antimafia sul caso Pantani.
La Procura di Trento ha interrogato, in questi mesi, una decina di persone sui fatti di Madonna di Campiglio. A luglio la pm Foiera era andata in carcere a Bollate per sentire l’ex boss della malavita milanese Renato Vallanzasca, il primo a parlare di un presunto giro di scommesse e del coinvolgimento della criminalità organizzata dietro alla squalifica di Pantani al Giro d’Italia del 1999. Ma Vallanzasca non è stato in grado di rispondere, a causa delle sue condizioni di salute. La direzione distrettuale antimafia di Trento ha inoltre acquisito alcuni documenti della Procura di Forlì, che fu la prima a indagare sul presunto giro di scommesse illegali al Giro del 1999. Un’indagine poi archiviata.
Otto mesi fa la Procura di Rimini ha chiesto l’archiviazione per la nuova indagine (la terza) sulla morte di Pantani, non ravvisando elementi di novità sul caso. E la conclusione a cui sono arrivati gli inquirenti è stata la stessa delle precedenti. Pantani è morto per un mix di cocaina e farmaci: “Non è stato ucciso”. Secondo la famiglia Pantani invece restano ancora tanti dubbi, e il forte sospetto che la mattina del 14 febbraio ci fosse qualcuno insieme a Marco, quando morì all’hotel Le Rose. Da qui l’opposizione alla richiesta d’archiviazione presentata da Fiorenzo e Alberto Alessi, avvocati della famiglia del Pirata. Che chiedono agli inquirenti di indagare ancora. Su Fabio Miradossa e Ciro Veneruso, gli unici due condannati per la morte di Marco (per la dose fatale), e su altri. Incluso chi prescrisse gli antidepressivi a Pantani e chi gli forniva i medicinali. “Dalle carte – osserva Fiorenzo Alessi – già si capisce che il controllo antidoping su Marco a Madonna di Campiglio non fu fatto secondo i crismi di legge. Con la magistratura di Trento c’è un buon lavoro congiunto”. Il caso Pantani non è chiuso.