
di Paolo Morelli
Mano a mano che passano i giorni e la situazione torna gradualmente verso la normalità, tutti si chiedono cosa possa avere creato una tragedia così colossale come l’alluvione che non riguarda solo Cesena e la vallata del Savio, ma tutta la Romagna. Se ne discute molto anche sui social, dove ognuno ha la propria risposta e, per quanto possa sembrare strampalata, cerca di farla prevalere su quella degli altri a colpi di like.
Tra gli argomenti dei quali si discute maggiormente c’è il sistema delle casse di espansione che avrebbero dovuto evitare, o quanto meno limitare, i danni della piena del Savio. Un sistema che, evidentemente, non ha funzionato come avrebbe dovuto. La documentazione più recente che siamo riusciti a reperire riguarda le norme tecniche di attuazione della variante al Piano delle attività estrattive del Comune di Cesena, approvate dal Consiglio comunale il 27 luglio 2017, che ha come riferimento di base lo studio ‘Valutazione della possibilità di laminazione delle piene nei corsi d’acqua principali della Romagna’ del professor Armando Brath, approvato dal comitato istituzionale dell’Autorità dei bacini regionali romagnoli il 19 dicembre 2007.
Le aree individuate per la realizzazione delle casse di espansione nel bacino del fiume Savio sono sette, una nel comune di Mercato Saraceno e sei in quello di Cesena: Cà Tana nella parte bassa del territorio di Mercato Saraceno, in quello di Cesena San Carlo, Il Molino, Palazzina, Montebellino, Cà Bianchi e Il Trebbo, tutte adiacenti al corso del fiume.
Va detto che si tratta sostanzialmente di cave di sabbia e ghiaia di proprietà o date in concessione ad aziende di costruzioni edili che così ricavano il materiale di loro interesse a basso costo, e contemporaneamente rendono un servizio alla collettività realizzando gratuitamente opere che altrimenti avrebbero costi molto ingenti. Il rovescio della medaglia di questo sistema è che la realizzazione della casse di espansione (o vasche di laminazione) è molto lungo (almeno cinque anni) ed è soggetto alle fluttuazioni dell’andamento del settore delle costruzioni poiché viene estratto il materiale mano a mano che c’è richiesta. Quindi l’attività è andata avanti lentamente negli anni della crisi edilizia, mentre è ripresa con maggiore intensità nel periodo più recente in seguito agli incentivi per la ristrutturazione degli immobili. Alla fine dei lavori di escavazione le aree dovranno essere rinaturalizzate; per quella di Cà Bianchi c’è il progetto di un parco naturalistico.
Le attività di escavazione risultano iniziate in tutte le aree, ma in nessun caso risultano terminate, per cui le acque che mano a mano ingrossavano il fiume Savio non hanno trovato agevolmente il modo di espandersi negli spazi già realizzati con l’estrazione di sabbia e ghiaia, per cui la riduzione della quantità d’acqua che scendeva verso il mare è stata limitata. Le acque, quindi, hanno invaso aree coltivate o abitate come quelle in prossimità del Ponte Vecchio e del parco ippodromo, e quelle di Martorano, Ronta e zone verso il mare.
Il sistema delle casse di espansione, a detta degli esperti va completato al più presto perché eventi meteo estremi con piogge di fortissima intensità potrebbero verificarsi con sempre maggiore frequenza.