
Sopra, Serge Gualini con alcune delle sue opere dai chiari tratti fiamminghi. Nel suo studio in centro a Cesena è possibile acquistare le sue opere che ha iniziato a esporre in mostre, soprattutto all’estero. In alcuni casi, diventa lui stesso protagonista dei suoi lavori come nella terza immagine
Cesena, 27 gennaio 2025 – C’è una pennellata del destino, oltreché dell’intelligenza artificiale, nei quadri dell’artista belga Serge Gualini, da qualche anno saldamente radicato a Roncofreddo, sulle colline cesenati. Formato all’Istituto superiore delle arti visive La Cambre di Bruxelles, dove ha sperimentato diverse tecniche tra disegno figurativo e arte digitale, ha realizzato un esclusivo partenariato creativo con l’AI a seguito di un incidente. Una discesa scivolosa, la scooter che sbanda, una ferita apparentemente leggera alla mano destra che, però, non riacquista più la sua mobilità. Addio alle matite e ai pennelli. “Mi sono adattato ad un altro modo di esprimermi convinto che la natura artificiale delle immagini generi un cortocircuito percettivo, aprendo nuovi interrogativi sull’arte, la realtà e la percezione”.
Già, Gualini, cos’è l’arte?
“E’ l’espressione della creatività. Io lavoro moltissimo sui miei quadri prima di stamparli. Do al computer, attraverso il programma Midjouney, centinaia di input, e solo quando l’immagine corrisponde esattamente a quello che ho in mente il quadro è realizzato e poi stampato su carta pregiata o su plastica. La gente si incuriosisce e apprezza. Qualche gallerista mi fa i complimenti ma non attribuisce valore artistico alle mie opere. Eppure viene considerata arte una banana fissata alla tela con l’adesivo”.
Quanto c’è di suo e quanto di AI nei suoi quadri?
“Se dietro al computer non ci fossi io non ci sarebbero i miei quadri. Non si tratta di copie, ma di immagini originali e uniche, prodotte dopo lunghi studi e conoscenze dell’arte rinascimentale. Hanno incuriosito più all’estero che in Italia. Soprattutto in Francia e, recentemente, in Guatemala, dove realizzerò una mostra”.
I suoi ritratti sono chiaramente ispirati all’arte fiamminga, ma i soggetti hanno espressioni malinconiche e sguardi siderali dietro a scafandri dalla consistenza plastica.
“Sono semplicemente riservati, oppure indifferenti o protetti. Alcuni li ho realizzati in epoca Covid. Comunque non conosco dipinti di van Eyck o Rembrandt in cui i soggetti sorridano. Le velature che lasciano trasparire i visi sono una sperimentazione di ciò che avrebbero potuto dipingere i fiamminghi se avessero conosciuto la plastica. Mi piace accostare ad una materia artificiale una scuola di pittura classica della quale mi sono nutrito sin da ragazzino. Del resto mio padre, italiano immigrato in Belgio negli anni ’60, lavorava per un museo”.
Usa l’intelligenza artificiale per altri progetti?
“Ho creato una linea di abiti realizzati con gli imballaggi di scarto di Amazon e di Ikea. In questo caso, come per l’impiego della plastica, c’è anche una denuncia di tipo ecologico. Ma uso l’AI anche per scrivere correttamente in italiano, che non è la mia lingua madre”.
Ci vive delle sue creazioni?
“Oggi è molto difficile vendere arte benché i miei quadri siano pezzi originali anche nelle cornici, realizzate con vassoi antichi. Vivo del mio lavoro di dipendente di un’azienda locale”.
Com’è arrivato in Romagna?
“Ho seguito, per conto della catena delle sale cinematografiche della società franco-belga UGC per cui lavoravo in Belgio sin da giovane, l’apertura della loro prima multisala italiana, quella di Savignano sul Rubicone. Dopo dieci anni, quando la società è cambiata, ho deciso comunque di restare qui. Ho chiuso un percorso e ne ho aperto un altro. Ho una bottega d’arte in centro a Cesena”.