GABRIELE PAPI
Cronaca

I teschi di ‘Bascozza’ e ‘Ragnino’ a Porta Fiume

Dopo le esecuzioni dei due noti malfattori nel Settecento, i resti furono messi in una gabbia e lì rimasero appesi per decenni

La gabbia dei teschi in una riproduzione di Vittorio Pieri

La gabbia dei teschi in una riproduzione di Vittorio Pieri

L’altra faccia, poco raccontata, della nostra storia: ovvero la ferocia pubblica. La spettacolarità dei supplizi era una delle più classiche manifestazioni del potere politico nell’ancien regime (vecchio regime) dei secoli recenti. Anche a Cesena: e ancora durante tutto l’800 all’ingresso di Porta Fiume campeggiava una gabbia che racchiudeva non uccelli canori, ma i teschi di due briganti locali, ‘Bascozza e Ragnino’. Quel lugubre souvenir era lì dalla prima metà del 1700.

Nell’ottobre del 1731 il caporale Antonio Severi detto ‘Bascozza’, ‘famoso contrabbandiere e micidiale (omicida) di sbirri’ era stato accoppato con una schioppettata da un suo parente, ingolosito da una taglia in scudi d’argento, alla Piaia presso le zolfatare. La testa mozzata del brigante era poi stata esposta come un trofeo nella piazza grande di Cesena nel giorno di mercato, per essere poi trasferita dentro una gabbia appesa all’ingresso della città a Porta Fiume: ‘ad ammonimento dei malvagi e a tranquillità dei buoni’, secondo la formula in auge in quel tempo.

Poco dopo un altro cranio fece compagnia a quello di ‘Bascozza’: si trattava della testa di un matricolato ‘grassatore’ (ladro da strada) cesenate, Pietro Peroni detto ‘Ragnino’. Gli sventurati ‘Bascozza e Ragnino’ entrarono a far parte, loro malgrado, del paesaggio cesenate e originarono pittoreschi modi di dire e sfottò, compresi truci ammonimenti ai bambini: ’se fai il birichino, farai la fine di Bascozza e Ragnino’ (modello educativo, diremmo oggi, più simile al metodo Erode che non al metodo Montessori).

Ancora più macabra, vent’anni dopo, fu la pubblica esecuzione in piazza, con successivo squartamento, di un assassino cesenate, Antonio Sirotti detto ‘Papone’. Di questo supplizio abbiamo cronache documentate la cui lettura fa venire la pelle d’oca. Antefatti, agosto 1755. ‘Papone’ uccide brutalmente a scopo di rapina un contadino che aveva seguito per tutto il giorno dopo averlo visto vendere due buoi al mercato. Sarà la madre di ‘Papone’, involontariamente, a tradirlo: vedendo il figlio a letto il giorno dopo, con il volto insanguinato, la donna chiama un chirurgo che si era recato da una vicina per farle un salasso. Il chirurgo, che sapeva dell’omicidio precedente, s’ insospettisce e sporge denuncia. Segue l’arresto e la confessione. Rapido processo e sentenza: condanna a morte, in piazza (convalidata dal Cardinal Legato Enriquez in villeggiatura a Bertinoro).

Il 1 ottobre, esecuzione in pompa magna, senza badare a spese. La notte prima una cella del carcere viene adibita a ‘conforteria’, come una cappella di chiesa: era stata rivestita di addobbi e illuminata dalle torce della Compagnia della Croce, mentre un frate confortatore preparava il condannato al ‘pentimento e alla buona morte’. All’alba un corteo salmodiante portava il condannato al patibolo. Sbirri armati a cavallo sorvegliavano: le reazioni della folla erano imprevedibili. Campane a morto. Dopo l’impiccagione il boia squartava il cadavere in quattro parti, poi esposte per due giorni sul luogo del delitto. Dettaglio finale: dopo l’impiccagione il religioso confortatore non riuscì a fare dal palco la predica edificante (con raccolta questue). Alcuni cavalli imbizzarriti fecero fuggire la folla che temeva una carica degli sbirri.

dida- I teschi di ‘Bascozza e Ragnino’ a Porta Fiume (elaborazione di Vittorio Belli) foto già da L. Ravaglia