ANNAMARIA SENNI
Cronaca

Il responso dell’esame del Dna. Boke e lo stupratore ricercato in Francia sono la stessa persona

Confermati i sospetti della famiglia Golinucci sul sudafricano che era ospite del convento dei Cappuccini al tempo della scomparsa della ragazza. Presto sarà presentata un’istanza per far riaprire le indagini.

La foto di Boke con una ragazza al centro dell’appello

La foto di Boke con una ragazza al centro dell’appello

Un’importante ‘conferma’ arrivata dalla Francia potrebbe portare luce sul mistero di Cristina Golinucci, scomparsa a Cesena il primo settembre 1992. A sollevare un nuovo polverone è la conferma sul Dna giunta dal laboratorio di analisi di Marsiglia. Emanuel Boke, sudafricano ospite del convento dei frati Cappuccini, e Kwame Quist, ghanese ricercato dalla Francia per rapina e violenza sessuale, sarebbero la stessa persona. Lo conferma il Dna prelevato da un berretto sequestrato nel 1994 a Boke, risultato compatibile con un profilo genetico presente in una banca dati francese e attribuito ad un cittadino ghanese, Kwame Quist, appunto, con precedenti per rapina, favoreggiamento dell’immigrazione e stupro, commessi a Marsiglia nel 1988, pochi giorni dopo il suo arrivo in Francia.

Cristina Golinucci sparì a 21 anni dal convento dei Cappuccini, dove il primo settembre di 33 anni fa aveva appuntamento con il proprio padre spirituale, padre Lino. Un appuntamento a cui non si è mai presentata. La sua Cinquecento azzurra fu ritrovata nel parcheggio del convento, ma di lei più nessuna traccia. Dapprima si pensò a una fuga volontaria, poi a un sequestro di persona (tesi che si scontrò contro il muro degli inquirenti) e alla fine si pensò a un omicidio. Ma il corpo non fu mai trovato. L’inchiesta, contro ignoti, è stata archiviata per la decima volta a settembre, ma la partita è stata riaperta i giorni scorsi dopo la comunicazione dei Ris di Parma alla Procura di Forlì. La famiglia di Cristina, assistita dall’avvocata Barbara Iannuccelli, depositerà presto una nuova istanza per riaprire il caso. Si punta su Emanuel Boke, che nel dicembre 1994 (mentre era in carcere a Forlì per due violenze sessuali) confessò a padre Lino di aver ucciso Cristina. Una confessione presto ritrattata da Boke. Per la famiglia di Cristina, la conferma del Dna e dell’identità di queste due ‘figure criminali’ (Emanuel Boke e Kwame Quist) è una prova importante.

A Boke nel 1994 fu sequestrato un berretto di lana e un rullino di foto. I due reperti sono rimasti per anni chiusi in una scatola, riaperta su richiesta della famiglia di Cristina. La polizia francese aveva già identificato Boke in Quist sulla base delle impronte digitali, ora è arrivato il Dna. "I Ris hanno accertato che il ‘nostro’ Emanuel Boke è Kwame Quist, che in Francia ha violentato altre ragazze ed è tuttora destinatario di un provvedimento di ricerca internazionale – ha detto l’avvocata Iannuccelli -. Non può essere una mera coincidenza che Cristina si trovasse nello stesso posto dove era questa bestia così violenta. Vogliamo la verità". Si cerca anche una ragazza che viene ritratta abbracciata a Boke in una foto, stampata dal rullino. "Chiediamo alla donna che si riconoscesse in questa foto – è l’appello della famiglia di Cristina - di contattare noi o le forze dell’ordine". Il rullino è stato stampato nel 2022 e ci sono 87 fotografie che ritraggono la vita di Boke al convento, in compagnia di varie persone e di alcuni frati. La famiglia di Cristina punta a rintracciare Boke, che sarà al centro della nuova istanza di riapertura delle indagini.