"Io, Stato, decido della sorte altrui"

Oggi e domani al teatro Bonci va in scena lo spettacolo ’Hỳbris’ con Flavia Mastrella e Antonio Rezza

"Io, Stato, decido della sorte altrui"

"Io, Stato, decido della sorte altrui"

di Raffaella Candoli

’Hỳbris’ è il titolo del più recente spettacolo che Flavia Mastrella e Antonio Rezza portano sul palco del Bonci stasera alle 21, e domani alle 16. Per i Greci dell’antichità, hybris era l’atteggiamento tracotante degli umani rispetto all’ordine stabilito dagli dei e Rezza si investe di questo ruolo: "A un certo punto io mi faccio Stato e decido secondo miei criteri chi sta dentro e chi sta fuori; divento arbitro del destino degli altri, prevarico la libertà altrui". Lo spettacolo è condotto attraverso il singolare linguaggio dei due artisti-autori, "unici per folle e lucida genialità", secondo la motivazione del Leone d’Oro alla carriera 2018. Sulla scena, rispetto alla consuetudine che vuole un Rezza attore unico, ci sono 8 presenze: personaggi "di poca importanza", comprimari quasi senza voce, che rappresentano la famiglia e più in generale l’umanità che esprime il bisogno di obbedire a un potere pre-potente che ha la faccia duttile, grottesca, mutevole, improbabile di Rezza. Uno spettacolo che suscita risate (e riflessioni) non solo per le situazioni paradossali, ma anche per l’incredibile fuoco di fila di gag verbali oltre che fisiche.

Antonio Rezza, lei rappresenta il potere precostituito?

"Rappresento l’arbitrarietà di chi esercita il potere. Lo spettacolo, concepito quattro anni fa e che poi ha incontrato una serie di intoppi, ma anche un importante riconoscimento, è stato anticipatore di quel che avrebbe rappresentato il lockdown durante la pandemia da Covid. Lo Stato, prevaricante, ha deciso chi poteva stare fuori e chi doveva essere chiuso in casa, con le ripercussioni che sappiamo, e le conseguenze anche per l’economia, i teatri, i cinema, i luoghi di cultura".

Una soglia, un confine tra chi sta di qua e chi di là è ricorrente nei suoi spettacoli.

"In Hybris, in un habitat ‘frigorifero’ io porto in spalla una porta, e la uso come fossi un pistolero che decide della sorte altrui. La porta è una forma di confine per cervelli ottusi".

Eppure si ride.

"Si ride per i suoni, per la velocità della scena, della scomposizione esilarante delle relazioni parentali, dell’essere fuori o dello stare dentro, fino alla negazione di una presenza che non avendo varcato la soglia di fatto non c’è. Chi sta in un punto, detta legge in quel punto".

Un riferimento all’attualità, alla difesa dei confini che altri cercano, con varie peripezie, di valicare?

"Nello spettacolo non c’è un riferimento specifico ai drammi degli sbarchi. Tuttavia, un nesso c’è: noi nasciamo in un luogo indipendentemente dalla nostra volontà; non lo abbiamo deciso, è capitato. Perché difenderlo come nostro quando anche noi ci siamo capitati involontariamente?"

Flavia Mastrella, lei è scultrice, fotografa, grafica, scenografa, eppure pochi significativi elementi caratterizzano l’habitat che predispone per Antonio e gli attori.

"Una scelta creativa che deriva da anni vissuti in coppia creativa. La scenografia intende rendere questo momento in cui viviamo, così estraniante, col capovolgimento delle parti. La porta, senza cardini, ha perso la stanza e il suo significato, si apre sul niente e chiude sul nulla. Divide quello che non c’è".

Nello spettacolo c’è una scena esilarante riferita al metal detector. Un’altra porta?

"Il metal detector raffigura l’applicazione del controllo sulla persona. Chi non risponde ai requisiti lo fa suonare e suscita allarme".