FIORENZO BARZANTI
Cronaca

La notte di Natale. A piedi nella neve e nel silenzio verso la chiesa di San Tommaso

Primi anni Sessanta, alla messa di mezzanotte partecipavano solo uomini e bambini. Tutti erano ‘sfurbì’: avevano fatto il bagno, erano andati dal barbiere e indossavano gli abiti migliori.

La notte di Natale. A piedi nella neve e nel silenzio verso la chiesa di San Tommaso

"E neiva che dio la manda" (Nevica che più non si può, che sembra che la mandi Dio) disse il contadino Duardin a mio babbo.

Erano le undici e mezza di sera e grandi, copiose farfalle bianche cadevano dal cielo e planavano soffici sui nostri vestiti e sui nostri volti semicoperti da copricapi di lana e da sciarpe. Camminavamo nel buio in mezzo alla strada per essere sicuri di non mettere un piede nel fosso laterale. C’era già mezzo metro di neve caduta nei giorni precedenti ma il contadino Sfuiazon con il trattore a cingoli con la ruspa aveva fatto ‘la rotta’. Ora invece c’era già ‘una scarpa’’ di neve fresca che stava cadendo da un paio d’ore.

Non c’era inquinamento luminoso perché non esistevano lampioni lungo la strada. Eravamo in molti che camminavamo lungo la strada che portava alla chiesa di San Tommaso e quelli davanti aprivano con gli stivali un piccolo solco nella neve soffice.

Si respirava un profumo fresco di neve buonissimo che sento anche ora mentre scrivo. Tutti parlavano fra di loro. Eravamo tutti uomini e qualche bambino, io ero con mio babbo e tenevo stretta la sua mano. Molti si lamentavano della troppa neve e della difficoltà che avrebbe creato nei giorni seguenti. Come andare a prendere l’acqua potabile dalla fontana pubblica detta ‘funtena de prit’ perché nelle vicinanze della chiesa che si trovava in una discesa difficile?

In realtà si avvertiva una discreta allegria in tutti perché per chi non lo sapesse la neve che cade copiosa porta allegria. Ma dove andava tutta quella gente composta di soli uomini in gran parte miscredenti e comunque non frequentatori abituali delle funzioni in chiesa? Andava alla messa di mezzanotte nella chiesa di San Tommaso.

Il giorno dopo sarebbe stato Natale e per tradizione alla messa di mezzanotte della sera prima andavano gli uomini. Il giorno di Natale alla messa del mattino presto andavano invece le donne mature e le azdore che poi avevano fretta di rientrare a casa per cucinare il coniglio arrosto nel tegame di terracotta, i cappelletti nel brodo di carne con cappone, il fritto bianco e con contorni di cipolline e peperoni sott’aceto, carciofini sott’olio ed olive in salamoia.

Alla messa della undici che era la più importante partecipavano le ragazze, i ragazzi e molti bambini. Erano tutti vestiti a festa e molti ‘’i’arnuveva quaicosa’’ (Indossavano un indumento nuovo), chi un paio di guanti, chi un ‘foulard’ (si diceva così), chi un orologino, chi due orecchini d’ oro vero o ‘or chigazvetta’ (oro finto) che fosse. Chi non mostrava nulla come la Pia ad Suraia per esempio usava dire che il capo nuovo indossato era nascosto: un paio di mutande, un reggipetto.

Ma torniamo a quella notte. Eravamo quasi arrivati alla chiesa, a mezzanotte in punto iniziava la messa. Tutti erano ‘sfurbì’ (Sforbiti), infatti in base ad un’usanza storica in prossimità del Natale, tutti avevano fatto il bagno, tutti erano andati dal barbiere e tutti indossavano i capi migliori e spesso il cappotto buono anche se era un pochino ‘sliso’ perché passato da padre in figlio.

Io nel pomeriggio avevo fatto il bagno nella ‘mastella’ di legno al caldo della stalla dove l’asina Nita e la ‘burela’ (mucca da latte) guardavano divertite e mosse da ‘animale’ compassione trattenevano i loro ‘bisogni’ per non rovinare la nostra atmosfera natalizia.

Nella mastella con l’acqua calda scaldata nella ‘furnasela’ avevamo fatto il bagno nell’ordine, prima io che ro il più piccolo poi mia sorella più grande poi mia mamma e poi mio babbo.

C’era quella sera e Nin ad Pasota, un contadino simpatico e gran chiacchierone che raccontava di essere stato dal barbiere. Teneva nel taschino e faceva vedere a tutti il calendarietto con le donne nude che gli aveva regalato il barbiere. Romano aveva il negozio a Case Finali e fra i suoi clienti c’erano molti contadini delle colline. Il negozio era sempre affollato perché secondo l’usanza del tempo un negozio di barbiere pieno di gente significava che il barbiere era bravo. Il trucchetto era molto semplice, se i clienti in quel momento erano pochi lui impiegava un tempo interminabile per un’acconciatura fino a quando il negozio si riempiva e lui diventava veloce.

Siamo all’inizio degli anni 60 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di Cesena ed abitato da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di queste ed io ero un bambino al quale sono rimaste impressi molti ricordi. Arrivammo finalmente in chiesa, ci demmo ‘una scruleda’’ (una scrollata), ci togliemmo gli stivali ed indossammo le scarpe che avevamo portato in una sporta di paglia.

La chiesa di San Tommaso era ed è bellissima. L’ingresso principale è sul davanti. C’era un secondo ingresso in chiesa dalla parte laterale destra. Era in diretta comunicazione con la canonica dove c’era l’abitazione del prete Don Antonio, della perpetua Teresa e della giovane nipote del prete Maria. Entrammo in chiesa, l’atmosfera era niente male. L’ambiente era in penombra illuminato unicamente dalle 6 lampadine laterali che emettevano una luce fioca, dalle candele accese dell’altare principale e dalle candeline accese del grande presepe all’inizio della navata sinistra.

La Teresa, la perpetua, aveva provveduto a mettere sotto ogni panca uno scaldino con i carboni ardenti ricoperti di cenere per mantenere a lungo il caldo. Ognuno i sistemò dove meglio credeva. Io insieme al mio amico Alvaro eravamo i due chierichetti.

Durante la messa, quasi nessuno fece la comunione, io ebbi il compito di andare ‘a la zeirca’ (alla ricerca, cioè passare in mezzi alle panche con una busta per riscuotere l’elemosina).

Il prete mi aveva insegnato i trucchetti per invogliare gli uomini e direi quasi obbligarli a fare un’offerta. Se un uomo non mi dava nulla io mi piazzavo davanti con la busta aperta e non mi muovevo fino a che il malcapitato dopo avere lungamente guardato in alto facendo finta di niente cedeva mettendo mano al portafogli.

La predica del prete fu breve e sobria, non era il caso di infierire come suo solito in quella occasione festosa.

Durante la messa un ruolo lo ebbe anche l’organo che si trovava vicino alla sacrestia. Aveva una canna che ogni tanto non funzionava ma tutto sommato non era niente male. Lo suonava un organista autodidatta che era Rino figlio del contadino del prete Urbano ad Blen (Urbano Belli). Intonò un paio di volte ‘Tu scendi dalle stelle’. Al pedale per tenere in pressione l’organo il mio amico Alvaro che ogni tanto pedalava piano ed il suono si affievoliva poi pedalava forte ed il suono si velocizzava troppo. Ogni tanto il prete si spazientiva e diceva in dialetto ‘Burdel dasiv una riguleda’ (Ragazzi datevi una regolata).

Poi tutti fuori in mezzo alla neve per tornare a casa ed aspettare il grande giorno di Natale.