ELIDE GIORDANI
Cronaca

Le confessioni di un ludopatico: "Lo stipendio finiva in un giorno, non si guarisce mai dal vizio"

Parla un operaio edile in pensione di 64 anni che non gioca più da nove anni e due mesi "Ho deciso di smettere perchè non avevo nemmeno i soldi per comprare un paio di scarpe".

Le confessioni di un ludopatico: "Lo stipendio finiva in un  giorno, non si guarisce mai dal vizio"

Le confessioni di un ludopatico: "Lo stipendio finiva in un giorno, non si guarisce mai dal vizio"

Le lacrime e l’orgoglio. Ossia il dolore per essere caduto nel gorgo e la soddisfazione di aver iniziato un percorso di recupero. Che è solo un cammino però, anche se sono passati 9 anni e due mesi dall’ultima giocata, poiché "dalla ludopatia non si guarisce mai e la ricaduta è sempre possibile". Un operaio edile in pensione, 64 anni, "giocatore compulsivo" come si autodefinisce, racconta la sua storia tra disperazione e riscatto. Quest’ultimo grazie all’aiuto all’Associazione giocatori anonimi.

Com’è finito nella trappola del gioco patologico?

"Ho sempre giocato. Prima le schedine del totocalcio, poi il ‘gratta e vinci’, e dopo sono passato alle macchinette mangiasoldi. Come gli altri giocatori anonimi conto i giorni del mio percorso poiché tra noi si dice che l’ultima giocata è sempre più lontana ma la prossima potrebbe essere fra un’ora. Succede di ricaderci anche dopo tanti anni. Rischia di più chi se ne sono distaccati da poco".

Quando si è reso conto che il suo approccio al gioco era diventata una malattia?

"Non saprei dirlo… Ad un certo punto mi sono accorto che era sempre più difficile stare lontano dal gioco. Andavo a giocare anche quando non volevo. Ne avevo bisogno sempre di più, sempre di più... Non è che giocassi tanti soldi, ma erano tutti quelli che guadagnavo. Tanti presi, tanti buttati nel gioco. Arrivavo a sera che lo stipendio del giorno se n’era andato". Quanto pensa di aver perso negli anni?

"Non saprei conteggiarlo e ormai non ha più importanza, quei soldi non ci sono più. Erano semplicemente tutto quello che avevo. Ma non ho fatto debiti. Certo che se non avessi giocato ora avrei potuto avere di più".

La sua famiglia non si è resa conto del suo comportamento deviato?

"Sono single, nessuno mi ha trattenuto o detto di smettere. Me lo sono dovuto dire da solo. Avevo sentito parlare di gente che s’era giocata il podere, la casa, ho capito che ero diventato come loro e ho deciso di rivolgermi ai giocatori anonimi. Ricordo il momento: era venerdì, ero sul mio letto, distrutto, piangevo poiché non riuscivo neppure a risparmiare per un paio di pantaloni o di scarpe. Ho chiamato (allora rispondevano da Roma, mentre oggi abbiamo un punto di riferimento anche a Cesena), ed è stato confortante, quantomeno, essere ascoltato. Solo altri giocatori potevano comprendere la mia disperazione".

Che piacere le dava il gioco d’azzardo?

"È un’emozione che se uno non l’ha provata non può capire. Ci si estranea da tutto, si vorrebbe non finisse mai. Non è neppure per vincere, basta essere lì a giocare. Le macchinette, poi, sono micidiali. Le luci, i suoni, i colori ti legano. Ti stacchi solo quando non hai più un centesimo in tasca". (La voce si spezza).

Sta piangendo?

"Si, rivangare quel periodo mi fa soffrire, per il gioco ho sofferto come una bestia al macello. L’associazione mi aiuta ancora e io aiuto gli altri. La ludopatia è una malattia terribile. Non si guarisce mai. Ma c’è una speranza, si può tenere sotto controllo".

Ha seguito le vicende dei calciatori coinvolti nel caso scommesse? Per alcuni di loro si è parlato apertamente di ludopatia.

"Hanno bisogno di aiuto. C’è chi crede di poter gestire il gioco ma ad un certo punto non si può più. Non è solo questione di soldi, ma della vita sconclusionata che provoca. Da soli non se ne esce".