
Le origini antiche dei burdèl. Quando l’infanzia durava poco
Quel sostantivo tutto romagnolo dall’origine misteriosa: burdèl, burdèla, che significa bambino, figlio, ragazzo, con declinazione al femminile. Parola dialettale antica di secoli ma rimasta viva nel nostro linguaggio quotidiano. Inoltre, da noi, essere burdèl è quasi una categoria dello spirito: per gli amici più cari e per i familiari più anziani si può restare burdèl sino ad età indefinita. C’è un club di tifosi del Cesena calcio che si chiama “Chi burdèl”. Nel maggio scorso, subito dopo la drammatica alluvione, ha fatto il giro del Web l’affettuoso cartello apparso nell’OltreSavio: “Non chiamateli angeli del fango, ma burdèl del paciugo”: simbolico ringraziamento alle centinaia di ragazzi e ragazze che senza chiedere niente e con tempestività hanno dato una bella mano, spalando fanghiglia e rimosso masserizie per ore e ore. Il cuore grande dei burdèl e delle burdèle. E dunque: dove e quando è saltata fuori questa parola dal suono quasi barbarico?
Burdèl, essendo voce dialettale locale, non è presente nei dizionari di lingua italiana. Abbiamo dunque incrociato i vocabolari romagnolo italiano, due in particolare: quello di Libero Ercolani e il Vocabolario Etimologico Romagnolo di Gianni Casadio (sono nella nostra biblioteca, a disposizione).Va premesso che di questa ed altre parole antiche abbiamo perso coscienza del significato originario. Ci aiuta l’analisi linguistica. Burdèl dal latino tardo, medioevale, burdone: antico nome del bardotto, bestia da soma, incrocio di un cavallo con un asina. Mentre il mulo è l’incrocio di un asino con una cavalla. Attenzione: nella parlata triestina mulo e mula sono sinonimi di ragazzo e di ragazza. Torniamo al nostro “burdu” che con il suffisso “ellu” diventa burdèl: dapprima “figlio illegittimo” (nel faentino bastèrd” prevale su burdèl”) poi ragazzo, semplicemente, nella parlata dialettale. Definizione dispregiativa? Per la nostra odierna mentalità, non per le mentalità dominanti nel passato. La storia non è una favola e la memoria è un abbecedario anche doloroso che continua ad insegnarci la fatica della civiltà. Nella mentalità medievale e nobiliare i contadini erano considerati poco più che bestie da lavoro, tenuti al guinzaglio dell’ignoranza: figuriamoci quei “bastardi” dei loro bambini. Per vari secoli l’infanzia dei figli dei poveri è durata poco: a otto, dieci anni, subito a lavorare.
Tempi più recenti: 1871, è arrivato l’obbligo della scuola elementare. A Cesena come altrove la metà dei bambini non va a scuola: è al lavoro dei campi. Solo il 20% dei bambini sa leggere: e dopo i dieci anni anche i figli dei borghi cittadini diventano garzoni nelle botteghe, le bambine sguattere nelle case della Cesena con i soldi:, pagati una miseria. Ci sono voluti decenni di lotte sociali e civili per affrancarci dall’analfabetismo e dallo sfruttamento del lavoro minorile. Poi le cose cambiano. E anche la parola burdèl così aspra, oggi suona come una carezza. Scalda il cuore dei meno giovani vedere i burdèl, le burdèle, e giovani mamme con i bimbi: sono la nostra infanzia, la nostra giovinezza che ci prendono per mano. Sono loro, i burdèl, il nostro domani.