Terza dose del vaccino: a chi serve? "Non a tutti"

Il professor Andrea Cossarizza (Unimore): "Ma non sappiamo quanto duri l'immunità: stiamo monitorando tanti dati"

Il professor Andrea Cossarizza docente di patologia generale e immunologia di Unimore

Il professor Andrea Cossarizza docente di patologia generale e immunologia di Unimore

Reggio Emilia, 21 settembre 2021 - "Non chiamatela terza dose, ma dose aggiuntiva. Ed è, al momento in base alle nostre conoscenze, necessaria solo per coloro che ne hanno bisogno, ossìa le categorie fragili".

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A fare chiarezza è il professor Andrea Cossarizza, docente di patologia generale e immunologia all’Università di Modena e Reggio. "Sono d’accordo sul fatto che sia molto importante potenziare la risposta immunitaria delle persone che per qualche motivo non ne hanno sviluppato una buona dopo le due dosi – evidenzia l’immunologo –. Penso che tra queste persone ci possano essere pazienti che hanno terapie per neoplasie, che hanno tumori in atto o in neoplasie in remissione dopo chemioterapia, persone sottoposte a particolari trattamenti con i cosiddetti farmaci biologi, come chi è affetto da sclerosi multipla o da altre malattie autoimmuni, chi fa terapie immunosoppressive per un trapianto di organo o ha ricevuto un trapianto di cellule staminali, e naturalmente le persone molto anziane, la cui risposta immunitaria è sempre molto più debole di chi ha molti anni in meno. Per tutti loro potrebbe essere molto importante ricevere un ulteriore aiuto, cioè una dose aggiuntiva di vaccino, dal momento che ci si aspetta che le persone ‘fragili’, abbiano una risposta immunitaria meno efficiente".

Per tutte le altre categorie, meglio dunque aspettare per la terza somministrazione. "In teoria potrebbe essere una buona idea, ma bisogna seguire un approccio scientifico basato sui dati – il monito di Cossarizza – Per quanto riguarda l’età, è ben noto che un 20enne o un 30enne abbia una risposta immunitaria migliore di un over 70. Oggi possiamo misurare non solo gli anticorpi, ma anche la funzionalità dei linfociti T (l’altro aspetto della risposta immunitaria a lungo termine), anche se per questi ultimi i test sono estremamente complessi. Ma credo sia importante prima di tutto vaccinare quel 26% di italiani (over 12) che non lo ha ancora fatto, e in parallelo valutare come aumentare l’efficacia delle vaccinazioni nelle persone immunocompromesse, poi ragionare su tutto il resto. Monitoriamo tutti i giorni i dati che provengono da decine di studi internazionali, ma evitiamo di fare previsioni, atteniamoci ai fatti. Ed è logico che se in futuro dovesse venir meno l’efficacia delle prime due somministrazioni, cosa che per ora non è affatto avvenuta, allora si procederà con un’ulteriore dose. Ma oggi non è così".

Infine il professore sgombra il campo da equivoci: "Il sistema immunitario ha un’ottima memoria. Le persone che non vengono più a contatto col virus possono produrre pochi anticorpi, la cui caduta nel sangue è quindi fisiologica. Questo non significa che il sistema immunitario non protegga più. Non sappiamo ancora la vera durata del vaccino, lo scopriremo nel tempo semplicemente perché abbiamo iniziato a vaccinare solo da inizio anno. Ma già sappiamo che il numero di persone vaccinate ricoverate è oggi infinitamente inferiore a quello delle persone non vaccinate".