Le terre degli scariolanti e quell’infinita bonifica: serve un piano bipartisan

Da sempre l’uomo affronta l’acqua: i cittadini in queste ore meglio della politica. Volontari arrivati da tutt’Italia, ma le istituzioni faticano a collaborare davvero

La campagna, le case coloniche, i paesi. E il loro doppio. L’invasione d’acqua, feroce, diventa orizzonte mentale e moltiplica il nostro paesaggio, ricordando le due facce della natura: chi di voi ha percorso, in questi giorni, le strade dell’alluvione emiliano-romagnola, e chi non le ha percorse, ma ha guardato le fotografie, se ne sarà reso conto. L’effetto specchio, quasi fosse un doppelgänger, un rovescio, è un monito: c’è un mondo ordinato, sereno, che procede normale; e poi c’è il mondo riflesso delle case che diventano barche, i campi che sono isole, le auto che sono zattere.

Come durante la devastante alluvione delle Marche dell’autunno scorso cui abbiamo pagato un tributo di vite ancora più devastante, anche in questi giorni la straordinarietà dell’evento atmosferico si schianta con l’ordinarietà delle (possibili) soluzioni: casse di espansione, più manutenzione, conflitti di competenze da superare, burocrazia da cancellare. Nella Bassa tra Imola, Bologna, Ravenna e Ferrara, una terra di frontiera fatta di confini indefiniti, orizzonti infiniti, aironi, torrenti e canali a perdita d’occhio, l’uomo ha da sempre affrontato l’acqua. Gli scariolanti hanno sanato paludi, costruito argini: lavoro durissimo; plotoni fatti di uomini in bicicletta armati di vanga e carriola che venivano arruolati di settimana in settimana al suono di un corno che scandiva la mezzanotte; pagamento a fine giornata, cioè a mezzogiorno; il rischio della malaria e la lontananza da casa. Le Bonifiche hanno alimentato un reticolo che è prima di tutto cultura, poi economia, e infine sistema sicuro.

E’ evidente che i fiumi meglio mantenuti (vedi il Santerno, non è un caso avesse esondato proprio in autodromo a Imola nel 2014) hanno retto. La sensazione è che avvenga la rottura, poi scatti l’opera di messa in sicurezza. Sappiamo che i fondi non sono mai sufficienti, che manca un piano nazionale (è stato invocato in maniera bipartisan sia dal governatore delle Marche Francesco Acquaroli sia dalla giunta emiliana di centrosinistra di Stefano Bonaccini), che i cantieri hanno tempi tecnici che non si possono scavalcare. Ma lo spirito degli scariolanti, quella ostinazione al meglio, al ‘costruire’, sempre e comunque, dov’è finito? Lo abbiamo visto nella gente, che da giorni pulisce, aspira, lava, svuota. Cercando di cancellare quel doppio, quel rovescio, quello ‘specchio’ di cui abbiamo parlato prima. Lo abbiamo visto nei volontari, arrivati da tutt’Italia nella piccola Spazzate Sassatelli, epicentro dell’alluvione imolese. Come per l’Agro pontino, come per Firenze, come per le Marche. Non lo abbiamo visto nella politica, più impegnata a criticare e difendersi, che a costruire. E’ il momento di costruire un piano d’emergenza. Chiamatelo apartitico. Oppure bipartisan.