"Maradona mi disse: ricordati chi sono"

Nel 1984 il fanese Giovanni Mei, in forza alla Cremonese, affrontò in campo il campione argentino. "Se non lo anticipavi non lo prendevi più"

Maradona nell’84

Maradona nell’84

Fano (Pesaro e Urbino), 29 novembre 2020 - "Ricordati che io sono il più forte del mondo". Una frase così poteva pronunciarla solo Diego Armando Maradona, rivolta al suo avversario diretto, al termine di un Napoli-Cremonese disputato il 25 novembre 1984 al "San Paolo" davanti a 70mila spettatori. E come nei film più celebri – da "Via col vento", a "Casablanca" - è la battuta finale che fa grande la pellicola, facendola passare alla storia, così è stato per Giovanni Mei, fanese, ex difensore con 109 presenze in Serie A con le maglie di Bologna, Atalanta, Cesena, Cremonese.

E proprio con la Cremonese, nell’ultima stagione nella massima serie, a 31 anni compiuti, Giovanni Mei incrocia i bulloni contro Diego Armando Maradona, appena sbarcato al Napoli. Per Mei, che già nel corso delle precedenti stagioni aveva "marcato" da difensore campioni come Platini, Boniek, Zico, Paolo Rossi, Socrates, Mancini, Altobelli, Pruzzo, Virdis è il coronamento di una lunga e prestigiosa carriera di calciatore. Ma riavvolgiamo la pellicola e partiamo questa volta dall’inizio. È un magnifico pomeriggio di sole quel 25 novembre 1984 a Napoli dove si sta disputando Napoli-Cremonese. I biancoazzurri sono in vantaggio per 1-0 grazie ad una rete siglata al 27’ del primo tempo dall’altro argentino Daniel Bertoni che su cross di Carannante in rovesciata batte il portiere Borin.

Poi, Giovanni, che succede? "Succede che all’inizio del secondo tempo due nostri difensori, Paolinelli e Montorfano si scontrano tra loro di testa, ferendosi, e così il nostro mister, Mondonico, manda in campo me e Finardi un attaccante. A me tocca quindi marcare Maradona".

Lei aveva 31 anni, lui 24, com’è andata? "Mi ricordo che scattava in continuazione, una accelerazione dietro l’altra, per cui se riuscivi a stargli attaccato, bene, altrimenti se ti prendeva il tempo arrivava prima lui sulla palla".

Difficile marcarlo... "Era rapido nei cambi di direzione. Poi un’altra cosa: voleva la palla sui piedi e non il lancio in profondità. Per cui dovevi cercare di anticiparlo altrimenti ti tagliava fuori e poi partiva in velocità e non lo prendevi più".

All’epoca, negli anni Ottanta, si discuteva su chi fosse il più forte tra Michel Platini e Diego Armando Maradona... "Li ho incontrati tutti e due. Platini era un gran testa, sapeva fare di tutto, Maradona era estro puro, un’altra cosa...".

In campo com’era, corretto? "Correttissimo. Sai, gli argentini non sono teneri nei contrasti. Bertoni in quella gara mi ha pure spaccato un labbro. Maradona invece non si è mai lamentato di un’entrata che gli ho fatto. Ti dico anche un’altra cosa: di tutti i calciatori che hanno giocato con lui, tutti hanno sempre parlato bene, non ho mai sentito una voce discordante. Forse perché stava sempre dalla parte dei giovani, dei più deboli, di quelli che si trovavano in difficoltà".

Era un eroe veramente esplosivo... "Una forza della natura. Oggi mi fanno ridere i giocatori, Messi, Ronaldo: si allenano con le macchine per 4, 5 ore al giorno, provano all’infinito lo stesso tiro. Maradona era tutto al naturale e non c’era niente di costruito. Prima al San Paolo non era impossibile fare risultato, dall’anno del suo arrivo il Napoli è diventato forte e poi ha vinto quel che ha vinto".

E al fischio finale? "Ci siamo salutati. Gli ho fatto i complimenti, dicendogli il classico ’in bocca al lupo’".

E lui? "Mi ha stretto la mano e mi ha risposto: ricordati che io sono il più forte al mondo!".