
La maxi frode era stata smascherata con un’indagine della Guardia di Finanza che aveva consentito di denunciare 23 persone
Passava anche per Fermo la frode milionaria all’Iva perpetrata sul territorio nazionale da svariate aziende "apri e chiudi", tutte gestite da soggetti di etnia cinese, create al solo scopo di far figurare un apparente giro d’affari, in realtà inesistente, e consentire, attraverso le false fatture emesse a favore di altre aziende gestite da connazionali, di evadere il Fisco. Per questo motivo 23 persone, tutte di nazionalità cinese sono comparse alla sbarra. Al termine del processo due degli imputati sono stati assolti per insufficienza di prove, mentre gli altri 21 sono stati condannati con pene comprese tra un anno e quattro anni, per un totale di 50 anni di carcere.
La maxi frode era stata smascherata con un’indagine della Guardia di Finanza che aveva consentito di denunciare 23 persone responsabili, a vario titolo, dell’emissione e dell’utilizzo di fatture inesistenti, attraverso l’uso strumentale di 22 società "cartiere". L’illecito giro d’affari scoperto era stato di oltre 120 milioni di euro e aveva generato un’evasione fiscale di circa 40 milioni di euro. L’operazione, che aveva portato alla luce un meccanismo illecito con l’utilizzo di imprese create solo sulla carta e con breve ciclo vitale, aveva visto coinvolte decine di aziende attive nel settore degli empori che collocavano sul mercato merce varia (articoli per l’arredo e per la casa, accessori per l’auto, prodotti dell’elettronica di consumo, abbigliamento) a prezzi estremamente concorrenziali.
Le Fiamme Gialle avevano ricostruito il complesso mosaico della frode, partendo da una verifica fiscale eseguita nei confronti di un esercizio commerciale del Norditalia comacchiese, il cui titolare, un cittadino cinese ben radicato sul territorio, presentava alcune anomalie sui dati delle fatture. L’analisi condotta sugli elementi delle fatture d’acquisto, avevano portato gli investigatori ad individuare, anche attraverso i numerosi controlli incrociati effettuati in collaborazione con altri Reparti del Corpo dislocati in varie province e regioni, diversi fornitori, di fatto risultati delle "scatole vuote", con partita Iva non più attiva e con una vita media di 2/3 anni, prive di qualsiasi struttura imprenditoriale, con sedi inesistenti e, ovviamente, inadempienti a qualsiasi obbligo fiscale.
Gli accertamenti avevano dimostrato, in sostanza, che la frode era stata ideata facendo leva sulle cosiddette "imprese apri e chiudi", create come "cartiere" per produrre, a ciclostile, false fatture destinate alle aziende realmente operanti nel settore del commercio a dettaglio, che le utilizzavano, ad arte, per abbattere il reddito imponibile da dichiarare ed ottenere, talvolta, rilevanti crediti di Iva nei confronti dello Stato per compensare le imposte da versare. Le 22 "cartiere" scoperte, erano dislocate a Fermo, Torino, Cuneo, Novara, Milano, Varese, Lecco, Monza, Bergamo, Mantova, Treviso, Ferrara, Ravenna, Reggio Emilia e Roma.