Donazioni private per il nuovo esercito

di Andrea Recchioni

Dopo la ritirata dalla Russia della Grande Armata di Napoleone, iniziata il 20 ottobre 1812 e conclusasi all’inizio dell’anno dopo, in data 16 gennaio 1813 il maresciallo Murat, che ne era a capo dal 5 dicembre su suo ordine, lasciò a sua volta il comando supremo dell’Armata al viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais e fece ritorno frettoloso a Napoli. Le divisioni italiane, partecipanti alla spedizione, erano state decimate nel corso della guerra e c’era così la necessità di ricostituirle celermente in vista delle nuove campagne militari. Il 28 febbraio si costituirà infatti la sesta coalizione antifrancese e il 20 agosto gli austriaci attaccheranno il Regno d’Italia. Alla ricomposizione dei reggimenti, effettuata con la leva obbligatoria, furono chiamati a collaborare anche i Comuni e tutti i cittadini con donazioni in denaro, di armati ed attrezzature utili. A tale fine il prefetto dipartimentale del Tronto Staurenghi l’1 febbraio 1813 da Fermo inviò a podestà e sindaci una circolare classificata ’pressantissima’, avente il N. 393. P.S. Sez. IV e siglata I162072 all’Archivio di Stato, con la quale ordinò loro l’immediata apertura di due registri, dove annotare con regolarità le singole offerte dei privati a favore delle truppe. Come indicato dal ministro dell’Interno (era il conte modenese Luigi Vaccari), non dovevano infatti ’escludersi le offerte spontanee degli individui - vi annotò - che si propongono di seguire l’esempio dei Corpi Municipali dell’Impero, e del Regno. Questo lodevole zelo di volontarj sacrificj deve però trovare una garanzia nella forma con cui abbiano ad essere accettati’. Nel primo registro andavano riportate ufficialmente le offerte riguardanti uomini, cavalli, denaro e quanto impiegabile in ambito militare; esse venivano computate a diminuzione della spesa a carico di ciascun Comune per allestire dei cavalieri. L’altro serviva solo per le offerte ulteriori, cioè in più rispetto a quelle stabilite appunto per gli enti locali. Staurenghi, stante la somma urgenza del compito, unì al foglio decine di esemplari di uno specifico avviso al pubblico, che andava affisso in ogni località e letto sull’altare dai parroci durante le funzioni in chiesa più partecipate. La messa a disposizione dei registri, prevista fino al 12 febbraio, fu poi prorogata al 16 con un manifesto di martedì 9 dello stesso prefetto.