Moby Prince, 30 anni dopo: "Nessuno si è scusato"

Parla Adolfo, fratello di Giuseppina Granatelli, vittima della tragedia del traghetto assieme al marito

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Quest’anno, il Covid costringe i familiari delle 140 vittime del Moby Prince a restarsene a casa e a commemorare da lontano i trent’anni (era il 10 aprile del 1991) trascorsi dal terribile rogo del traghetto Moby Prince dopo essere entrato in collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Resta a casa anche Adolfo Granatelli, fratello di Giuseppina che era sul traghetto insieme al marito Bruno Fratini, felici sposini in partenza per un viaggio di nozze che non c’è stato mai. Adolfo, che ha 64 anni, in questi anni è sempre stato presente alle commemorazioni. E oggi avrebbe vare fare lo stesso. "Sì, mi mancherà il fatto di non poterci andare – spiega –. Inizialmente vedevo Livorno come un posto terribile, poi ho visto la gente che ha sempre mantenuto il ricordo di quella tragedia, una coscienza sociale elevatissima e l’ho apprezzata. Per me è sempre pesante andare. Io, come gli altri parenti, non sono uno qualsiasi, ma qualcuno che è stato direttamente coinvolto in quella tragedia". Ogni volta, la mente torna indietro, a quella notte "quando siamo arrivati nella zona del porto, dove c’era il traghetto. Ho visto qualcosa che non avrei mai voluto vedere. Quella settimana per me è come se fossi andato all’inferno. E’ stato un momento fortissimo della mia vita". I genitori di Adolfo e Giuseppina, oggi non ci sono più, "ma con la fede hanno affrontato e cercato di superare. Quando è nata mia figlia, Francesca, per mamma è stata come un alimento di vita". E Adolfo ha coinvolto la figlia in un dramma che non ha vissuto, "ma l’ho fatto perché è importante non dimenticare. Lei è incredibilmente simile a mia sorella tanto che, ancora adesso, a volte mi sbaglio a chiamarla. Le ho raccontato tutto, conosce i fatti e ha nostalgia di ricordi che non ha vissuto con la zia Giuseppina. Credo sia importante che la memoria non venga dispersa. Bisogna fare del tutto perché ciò non avvenga". Cosa dispiace di più dopo 30 anni di ricerca della verità? "A me è sempre rimasta impressa la tragedia del Vajont e quando Napolitano, dopo 50 anni, ha chiesto scusa, ho pensato che a noi, queste scuse non sono mai arrivate. E questo mi dispiace. Non mi avrebbero ridato mia sorella, ma lo Stato non ha mai chiesto scusa, nessuno lo ha fatto, come se non contasse niente la vita di queste persone. Devo aspettare altri 20 anni per poter sentire qualcuno che si scusa anche con noi per le 140 vite che non ci sono più?".

Marisa Colibazzi