Cona, i medici di notte hanno paura. "Troppi clochard aggressivi"

Il racconto dei medici del pronto soccorso: "Sono tutti italiani, entrano col triage e non possiamo lasciarli fuori"

Un senzatetto al Sant’Anna

Un senzatetto al Sant’Anna

Ferrara, 26 aprile 2018 - Succede tutto dal tramonto all’alba. Più precisamente dall’ultima corsa del bus che dalla città porta all’ospedale di Cona fino alla prima del mattino. «E non crediamo – testimonia un medico del pronto soccorso – che paghino anche il biglietto». Ma qui si apre un altro fronte. Si parla di cinque o sei persone, senza tetto, che hanno eletto ad albergo il pronto soccorso del Sant’Anna. «E se fino a poco tempo fa – dice la fonte – la situazione più o meno era tollerata, adesso abbiamo paura». Soprattutto quando si allungano le ombre. Di notte, in servizio al pronto soccorso, ci sono due dottori. E non sempre uomini.

Distinzione di genere solo per dire che alle tre, attraversare il silenzio dell’ospedale per andare alle macchinette del caffè, essere maschio o femmina può fare la differenza. «Sono tutti italiani – ci spiegano – ed entrano attraverso il triage. Di fatto siamo obbligati a prenderli in carico. Dovesse succedere qualcosa ad uno di loro, rimasto fuori dalla struttura, per noi sarebbero guai grossi».

Se fino a poco tempo fa il loro stare composti e silenziosi era il prezzo che pagavano alla tolleranza di medici (che sono esseri umani) in una sorta di pace, da qualche tempo le cose sono cambiate.«Si ribellano, protestano se un medico o un infermiere non si occupa subito delle loro richieste. Entrano con codici bianchi o verdi e alzano la voce». Senza sapere che, in media, dal pronto soccorso, ogni notte, «passano circa settanta casi». Cioè di tutto: dal bimbo ammalato al ragazzo vittima di un incidente, fino all’adulto sul crinale che separa la strada della vita dal baratro della morte. E nel mezzo ci sono loro. Piccolo plotone, non più silenzioso, che sta cambiando l’ecosistema notturno di medici e infermieri. Che non ce la fanno più. E dicono, con frustrazione e un filo di rabbia: “basta”. «Non si può lavorare con un disagio che spesso, alle tre di notte, diventa paura di muoversi». La direzione sanitaria è al corrente e garantisce vicinanza. Ma è complicato applicare l’Abc della legalità a chi vive oltre il ciglio del non avere nulla da perdere.

«Gli stranieri? Vengono solo per problemi veri. Almeno il più delle volte è così. Forse dipende dalla loro cultura. Contro i senzatetto che alloggiano qui tutte le notti io non ho niente. Sono poveri, spesso affetti da problemi cronici come l’alcolismo, ma non si può lavorare così». E dalla sala macchine di chi passa le notti a salvare le vite, emerge la richiesta: «Vogliamo sicurezza». Ok ma come? «Con una presenza fissa per tutto il notturno. La vigilanza privata non è stanziale, deve controllare tutto l’ospedale. Noi vorremmo una presenza fissa. E che sia un vigilante privato, un poliziotto o un carabiniere è indifferente. La cosa fondamentale è che stia qui». Qui è quel punto di Cona dove le luci sono sempre accese, le porte aperte e i camici bianchi lavorano in quella zona di confine che si chiama tempo prezioso. «Parlare di queste cose – dicono – è complicato. L’ultima che vorremmo è accanirci contro la miseria, ma è intollerabile lavorare e avere paura che, in qualsiasi momento, possa succederci qualcosa. Vogliamo lavorare in sicurezza. In gioco non c’è solo la nostra incolumità ma anche la qualità dell’ambiente e del servizio».