"Così racconto la Ferrara del Settecento"

Lo storico dell’arte Ranieri Varese e la sua ultima opera: "Nessuno si era mai occupato dell’editoria in città prima e dopo gli Estensi"

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di Francesco Franchella

Ridurre la storia di Ferrara a quella degli Estensi è un errore comune, ma non meno grave. C’è tutta una città ancora da scoprire: quella che precede gli Este; quella che succede agli Este. Dipinti, affreschi, committenti, apparati effimeri, ma anche la storia, l’urbanistica, i libri e chi, i libri, li stampava. Su quest’ultimo tema si è concentrato Ranieri Varese, storico dell’arte, già professore dell’Università di Urbino e Ferrara e direttore, a Ferrara, dei Musei Civici di Arte Antica, dal 1970 al 1985. In particolare, la sua ultima pubblicazione per i tipi di Pendragon, si occupa di ‘Materiali per lo studio della produzione a stampa nella Ferrara del XVIII secolo’ e verrà presentata domani nella sede dell’Accademia delle Scienze di Ferrara (venerdì 7, ore 17, via del Gregorio 13).

Da dove nasce la volontà di provvedere a questo volume? "Ho un’intenzione politica: quella di spostare l’attenzione dal periodo estense ai secoli sia precedenti che successivi. Il mio volume si inserisce in questo solco. Tenga presente che nessuno si è mai occupato dell’editoria a Ferrara nel Settecento. Gli unici sono stati Girolamo Baruffaldi (il giovane) nel 1787 e poi Napoleone Cittadella nell’Ottocento, copiato nel Novecento, senza citazione, da Giuseppe Agnelli".

In sostanza, cosa raccoglie questo volume?

"Il volume fa due operazioni: tenta un quadro generale dell’editoria a Ferrara nel Settecento e poi pubblica una serie di documenti inediti e mai utilizzati, che tentano di spiegare i meccanismi editoriali in essere a Ferrara. C’è, ad esempio, l’inedita Lezione sulla dedica di Girolamo Baruffaldi, il catalogo della libreria di Bernardino Pomatelli del 1732, conservato a Parigi nella Bibliothèque Nationale de France, il catalogo delle Imprese degli stampatori ferraresi del Faustini…".

Già nel titolo parla di lacune e carenze che è possibile trovare nel libro. Cioè?

"La carenza maggiore è che io, come tanti altri, non ho potuto consultare l’Archivio Notarile Antico, perché è da anni chiuso, dopo il terremoto del 2012, e ci vorrà ancora molto prima che sia di nuovo consultabile. Un’altra lacuna è che la Biblioteca Ariostea non ha trasferito nel Sistema Bibliotecario Nazionale (Sbn) tutte le schede del suo catalogo, ma solo alcune. I volumi stampati a Ferrara, spesso in copia unica, conservati all’Ariostea non sono raggiungibili perché il catalogo della biblioteca non è per editore, mentre lo è quello di Sbn. Insomma, in Sbn io posso rintracciare l’editore, all’Ariostea no".

Chi erano i fruitori dei libri stampati nel XVIII secolo? "Ferrara era una città di 30mila abitanti e, a essere abbondanti, solo 10mila persone sapevano leggere o scrivere. Il mercato era quindi ristretto. I volumi pubblicati sono libri d’occasione, ma c’è anche tutto un mondo legato alle Accademie, che pubblicava molto. Senza contare l’università: si sa, i professori hanno sempre avuto questa mania di pubblicare…".

E le immagini? Avevano un ruolo nei libri del XVIII secolo?

"C’è un doppio registro. Ogni editore ha un suo patrimonio di immagini che utilizza in tutti i volumi e che sono i capilettere, che servono a individuare l’editore, i filarini tipografici e le vignette. Ogni autore, invece, è tenuto a fornire le immagini specifiche per il volume che vuole pubblicare. Ha, quindi, una spesa come autore per far incidere le immagini, ma poi l’editore gliele deve restituire. L’autore le può così riutilizzare o addirittura scambiarle con altri colleghi".