REDAZIONE FERRARA

Crac Capa, no al sequestro "Ma mancarono i controlli"

Il giudice delle imprese ha respinto la richiesta del Fallimento di ‘congelare’ i beni degli indagati: "A oggi nessun pericolo che vengano sottratti"

Nessun sequestro per i beni dei trenta indagati per il crac di Capa Ferrara, la cooperativa agricola fallita nel 2016 e ora al centro di un’inchiesta penale per bancarotta per dissipazione e di un’azione di responsabilità per i danni causati dal buco lasciato dalla crisi della società stessa. A stabilirlo è stato il giudice Silvia Romagnoli del tribunale delle imprese di Bologna. Il magistrato – lo stesso che si pronuncerà nell’azione di responsabilità al via in primavera – ha esposto i motivi della sua bocciatura in un’ordinanza di undici pagine. Secondo il giudice, non ci sarebbe un "concreto e attuale" pericolo di sottrazione del patrimonio "al soddisfacimento dei crediti risarcitori della procedura da parte dei soggetti disponenti". E questo anche tenuto conto del tempo trascorso "tra la dichiarazione di fallimento, novembre 2016, e il deposito del ricorso, luglio 2020". Ma, al di là del motivo ‘tecnico’ che ha portato alla bocciatura dell’istanza di sequestro conservativo avanzata dal Fallimento Capa Ferrara attraverso l’avvocato Andrea Audino, il giudice mette in evidenza una serie di altri elementi riguardanti le presunte condotte dei protagonisti. In particolare in merito a quello che sembra essere il cuore dell’inchiesta, ossia l’acquisto di due società agricole, Energy Tre ed Energy Quattro, operazione attraverso la quale, secondo i pm, sarebbe stato dissipato il patrimonio di Capa. "Gli acquisti di Energy Tre e Quattro – scrive il giudice nell’ordinanza – paiono essere stati effettuati in assenza di una adeguata verifica preventiva della sostenibilità finanziaria delle operazioni, oltremodo necessaria stante la situazione di già gravissimo indebitamento bancario".

E non è tutto. Secondo il tribunale, sembrerebbe che "l’acquisto delle Energy sia maturato quale panacea dell’impossibilità di recupero dei crediti" verso le Energy stesse, o meglio, "della non volontà di recupero". Ciò che è mancato, secondo il giudice, sarebbe insomma "ogni preventiva verifica sulla vantaggiosità delle acquisizioni". Stando all’interpretazione del tribunale, sarebbe dunque possibile dedurre che "gli amministratori si siano affidati acriticamente a valutazioni di professionisti senza alcuna consapevolezza della sostenibilità economico-finanziaria dell’operazione, né della sua proiezione di redditività futura". In conclusione, l’ordinanza dedica anche un passaggio al collegio sindacale che, secondo il magistrato, avrebbe "omesso di vigilare adeguatamente sull’operato degli amministratori, limitandosi a raccomandazioni e inviti nonostante la chiara percezione della non avvedutezza delle scelte gestorie". Insomma, il danno quantificato dal Fallimento relativamente agli acquisti delle partecipazioni sociali – pur non essendoci le condizioni per il sequestro – sarebbe "ascrivibile alla mala gestio degli amministratori".