Il capolavoro ai Diamanti: ecco il trittico di Maineri

Importante acquisto delle Gallerie Estensi del 2019, la direttrice Martina Bagnoli "Tappa fondamentale della sua formazione sulla scia di Ercole de Roberti".

Il capolavoro ai Diamanti:  ecco il trittico di Maineri

Il capolavoro ai Diamanti: ecco il trittico di Maineri

di Lucia Bianchini

Un’opera peculiare quella presentata ieri , nel salone della Pinacoteca di Palazzo dei Diamanti. È il trittico attribuito a Giovan Francesco Maineri, importante acquisto delle Gallerie Estensi nel 2019, la cui presentazione era prevista per l’aprile 2020 ma è stata rimandata a causa della pandemia.

"È un acquisto molto importante che lo Stato ha fatto per le Gallerie Estensi – spiega Martina Bagnoli, direttrice delle Gallerie –. Volevamo celebrarlo in maniera corretta anche perché è un’attribuzione nuova, che si colloca nel periodo giovanile, una tappa fondamentale della formazione di questo pittore, che si è formato sulla pittura ferrarese di Ercole de Roberti. L’opera si sposa benissimo con la collezione delle Gallerie Estensi ed anche con la mostra in corso a Palazzo Diamanti". A illustrare l’opera e a spiegare l’attribuzione è Andrea De Marchi, docente presso l’Università di Firenze e profondo conoscitore della pittura italiana. Il trittico, come spiega De Marchi, è "molto piccolo, preziosissimo e molto particolare, sia come tipologia, sia nell’iconografia, un’opera unica nel suo genere". "È di un allievo di Ercole de Roberti – prosegue il relatore –, io credo del giovane Giovan Francesco Maineri, ed è una testimonianza del gusto della corte di Ercole d’Este ed Eleonora, che amavano molto questi dipinti di devozione, particolarmente preziosi, quasi miniature. Maineri era, insieme ad Ercole de Roberti, il loro pittore preferito per questo tipo di oggetti, raffinati, ma anche molto coinvolgenti emotivamente, per la compassione e la partecipazione alla passione di Cristo". Andrea De Marchi ha inoltre sottolineato la straordinaria finezza e complessità di quest’opera, che colloca nell’alveo della cultura ferrarese degli anni Ottanta del Quattrocento, complessità che "non riguarda solo l’attribuzione che ho ipotizzato, di cui io sono molto convinto, ma studiosi come Daniele Benati non concordano, pur non avendo una alternativa alla mia idea".

Secondo il docente quella presentata non è un’opera standard, non è un trittico a sportello, bensì rigido, e le tre aree sono tutte della stessa dimensione, che richiama esempi di provenienza fiamminga. Altra peculiarità spiegata da De Marchi è che trittico solitamente riporta natività, crocifissione e resurrezione, in questo caso è invece un focus sulla Passione e raffigura l’andata al Calvario, la Crocifissione e il compianto sul Cristo morto. "Questa Passione ha poi una connotazione femminile – racconta il docente – è stato fatto o per Eleonora d’Aragona, che amava questo tipo di oggetti, oppure per un ambito monastico femminile, non conosciamo la provenienza dell’opera. Nella crocifissione vediamo solo la Maddalena, che è in grande risalto, mentre nel Compianto manca San Giovanni, ci sono solo donne. Nella salita al Calvario non compaiono invece altri personaggi, perché il focus è tutto sulla solitudine di Cristo, il tema è l’imitatio Christi, chi lo guarda si immedesima con questa solitudine di Cristo e poi con il Compianto della Maddalena".