Le lettura e i classici Elogio al libro

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Pierfrancesco

Giannangeli

Questi sono i mesi della celebrazione del pensiero applicato alla scrittura e dei suoi autori con un classico ormai del calendario culturale, vale a dire i festival dedicati ai libri. Ce ne sono diversi, a tutte le latitudini. E così ogni anno viene da chiedersi che senso abbia e come sia cambiato il concetto di lettura: domande pertinenti, perché la società corre veloce e da un anno all’altro la nostra relazione con le cose e con le idee può cambiare repentinamente. Innanzitutto con la materia, il libro di carta. E’ veramente un sopravvissuto nell’era digitale? In realtà no, perché per la maggioranza dei lettori continua a essere familiare, anche se ormai oggi si legge su tanti supporti diversi. Personalmente, ormai da anni, ci siamo convertiti al libro elettronico, che è comodissimo: siccome abbiamo preso l’abitudine (sana o no?) di leggere dalla app del telefono, avere a disposizione in tasca una biblioteca e poterla sfruttare in ogni momento, sia per lavoro che per diletto, dà una piacevole vertigine, soprattutto ricordando gli anni in cui si trascinavano i libri nella borsa che pesava sempre di più. Leggere all’epoca era anche fatica fisica, adesso solo intellettuale, vuoi mettere la differenza per noi pigri? È una battuta ovviamente, perché il libro di carta rimane un oggetto splendido. Poi c’è appunto il discorso sul senso della lettura. Gli ultimi due anni hanno reso ancor più necessario questo esercizio per capire e interpretare un mondo segnato da pandemia e guerra. Per aiutare la comprensione del mondo e delle sue imperscrutabili traiettorie restano indispensabili i classici, che, a pensarci bene, servono anche a un’altra cosa nel loro essere un modello: a scoprire i nuovi autori e la scrittura contemporanea di cui sono portatori. Insomma, nel tempo quello che Jonathan Gottschall ha felicemente chiamato "l’istinto di narrare" non è cambiato. E quello di leggere, nonostante catastrofiche previsioni, neanche.