Ferrara, malato di Sla: "Ero pronto a morire. Poi l’incontro col vescovo Negri"

La storia di Salvatore Vono: "Voglio vivere"

Salvatore Vono (57 anni) con la moglie e una persona che lo aiuta

Salvatore Vono (57 anni) con la moglie e una persona che lo aiuta

Ferrara, 20 marzo 2018 - Era tutto pronto. Il biotestamento appena diventato legge, i medici e l’anestesista sull’attenti, c’era già pure la psicologa nella stanza d’ospedale. Bastava l’ultimo e decisivo sì, quello di Salvatore. Poi l’iniezione avrebbe fatto il suo corso e lui, Salvatore Vono, avrebbe varcato il confine e ciao a tutti. Invece no, perché all’ultimo, il 57enne malato di Sla, ha deciso che il suo tempo sulla terra non era ancora finito. Anzi. E così ha scelto la vita. «Perché – dice oggi convinto –, io voglio vivere». Ex dipendente di banca e accompagnatore delle giovanili della Spal, ‘Salva’, come lo chiamano i tanti amici che ad ogni ora suonano nella sua casa di Pontelagoscuro per fargli un saluto, è sulla sedia a rotelle. Immobile. Riesce a battere le palpebre per dire sì e a muovere le labbra. La sclerosi laterale amiotrofica ha cominciato a sfiancarlo nell’ottobre 2014, per poi essere diagnosticata definitivamente l’estate successiva. Da quel momento un peggiorare lento e progressivo. Porta una protesi all’occhio destro, convive con il respiratore e riesce a comunicare grazie a una tabella fai da te ad indicazione di sguardo, avendo di fronte un interlocutore addestrato all’utilizzo. Come Elena, l’inseparabile moglie, o Ella, la ragazza che lo assiste. «La solitudine – racconta ‘Salva’ con gli occhi – è devastante. Lo Stato ti fa sentire solo e ti fa capire che sei un costo, un disturbo, un peso per la famiglia».

Tra la fine 2017 e l’inizio dell’anno in corso, è stato un viavai dall’ospedale: difficoltà a deglutire, a respirare, poi la broncopolmonite. E da lì, ecco la decisione di dare ai medici la possibilità di mettere in pratica la sua volontà, senza più doversi rivolgere al giudice tutelare, come in passato. Poi qualcosa è successo, qualcosa di grande nella sua testa.

Tutto dopo un incontro avuto con monsignor Luigi Negri. «Gli disse che Dio – racconta la moglie traducendo la volontà di Salvatore – aveva scelto lui, come aveva fatto con suo figlio Gesù». «E che valeva la pena provarci, – aggiunge Silvia, grandissima amica – andare avanti, continuare a vedere fiorire le piante, anche con quella malattia, anche senza più la sua voce e la mobilità di braccia e gambe». Salvatore così ha deciso di provarci, di giocare con una casacca diversa sulle spalle, ma di giocarsela fino in fondo. E la sua forza sono le persone, Elena, gli amici, il figlio. Il biotestamento? «È giusto – dice – anche per i familiari». E il fatto che dj Fabo sia stato costretto ad espatriare per morire «è cosa assurda. Anche io, nella sua condizioni, lo avrei fatto». Una lacrima gli scende lenta. Ma il tuo cuore, domanda Silvia, di che cosa ha bisogno? Salvatore si illumina e punta lo sguardo su cinque lettere: «A-M-O-R-E». Suonano alla porta, è Stefano, il figlio che lo abbraccia forte: «Ciao papà e tanti auguri. Oggi è la tua festa».