ANDRIY SBERLATI
Cronaca

"Olocausto e immagini. In ogni fotografia racchiuso un segreto"

Laura Fontana, da 30 anni storica della Shoah

Laura Fontana, da 30 anni storica della Shoah

Laura Fontana, da 30 anni storica della Shoah

Laura Fontana (oggi alle 17.30 alla libreria ’Libraccio’ col suo libro ’Fotografare la Shoah’, edito da Einaudi) si racconti: come le piace definirsi?

"Sono una storica della Shoah da 30 anni. Mi occupo della didattica della storia e collaboro con il Memoriale della Shoah di Parigi"

Da cosa è partita l’idea del libro?

"Mi occupo da sempre di fotografie dell’olocausto. Più di 5 anni fa ho iniziato una ricerca negli archivi di tutto il mondo. Volevo far veder quanto fosse ampio e variegato il patrimonio delle fotografie (che se ne contano milioni). Volevo raccontare la storia che c’è dietro ogni fotografia. Spesso, o non hanno didascalie giuste, o vengono fraintese. Molte foto che ho analizzato erano mal interpretate"

Il libro che funzione ha?

"Propone tante prospettive diverse di fotografie. Penso possa essere anche un metodo di studio"

Lei differenza tra iconografia e iconologia dell’immagine.

"Esatto, generalmente prevale ciò che si vede inquadrato. Ma la fotografia è anche un controcampo che non si vede. Gli elementi che compongono uno scatto sono le scelte di inclusione o esclusione, gli obiettivi e gli scopi del fotografo"

Che approccio ha adottato?

"Principalmente una riflessione di metodo, per superare l’approccio emotivo. È un approccio analitico, questo, per studiare le fonti. Volevo restituire il valore informativo. Oltre alle sensazioni, una foto cosa ci dice che non sappiamo?"

E la risposta qual è?

"Ogni foto ci racconta un segreto nascosto. Io presento molte fotografie perturbanti, perché si discostano dalle immagini a cui siamo abituati. Oltre ai bambini, la fame e la sofferenza, ci sono foto anche di spensieratezza dell’élite del ghetto"

Tra le tante, ce n’è una in particolare a cui si riferisce?

"C’è una foto, molto potente, che mostra una bambina felice con la madre. Sembra una cosa fuori contesto, ma se poi si approfondisce, si capisce che sono i figli dei poliziotti ebrei, vengono considerati privilegiati. Le forze dell’ordine erano indispensabili ai nazisti per far rispettare gli ordini e, per ’ingraziarseli’, non facevano deportare i loro figli.

Spensieratezza però solo apparente.

"Nessuno, purtroppo, si è salvato, a partire dal presidente del Consiglio ebraico. Anche i bambini felici lo sono stati per poco. Sicuramente le foto trasmettono l’umanità, anche in condizioni estreme, delle vittime, che cercavano un piccolo spiraglio di felicità. Dal punto di vista del fotografo, lui vuole restituire ciò che era la vita del ghetto. Come si può condannare una famiglia che vuole una foto ricordo?"

Un caleidoscopio emotivo.

"Sì. Sono tante immagini molto diverse tra loro. Non tutto deve essere conciliabile con una sola emozione. Anche se le foto rimandano a un quadro eterogeneo, l’importante è avere il quadro".