Quando il sangue riempì l’ex carcere

Nel 1945 l’eccidio dove fu ucciso anche Costantino Satta, a cui è intitolato l’attuale istituto penitenziario

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Nel pomeriggio dell’8 giugno del 1945 in corso Isonzo un gruppo di persone in divisa fuma nervosamente. Qualcuno guarda attorno, con sospetto, per verificare che non ci siano curiosi o passanti, poi l’attesa si interrompe: da viale Cavour arrivano una motocicletta con due passeggeri dietro al pilota, seguita da una Fiat 1100, con diverse persone a bordo. Il gruppetto fa un cenno ai nuovi arrivati, come a dire ‘via libera’, e il corteo prosegue verso il carcere cittadino, ossia l’attuale Meis. I tre in moto si fermano davanti all’entrata e si presentano agli agenti di custodia; sono due componenti della polizia partigiana e hanno con loro un individuo, in apparenza è ammanettato. Si fanno aprire il portone principale, ma una volta entrati gli uomini della moto e quelli dell’auto spianano i mitra e liberano una trentina di ex partigiani reclusi con l’accusa di rapine ed estorsioni; giungono poi in uno stanzone dove sono riuniti decine di fascisti, li raccolgono alla fine di un corridoio, abbassano le sicure e tirano alla cieca sul gruppo.

Dopo l’eccidio, il commando si dirige verso l’uscita. Li insegue il capo degli agenti di custodia, intimando di fermarsi; viene anche lui ucciso, ed è l’ultimo morto ammazzato, il diciottesimo della giornata. La banda sarà individuata, processata e assolta, in quanto i reati rientrano sotto la cosiddetta ‘amnistia Togliatti’, con la quale ritornano in libertà sia efferati torturatori in camicia nera, sia partigiani dal grilletto facile. Poco fino a oggi è stato scritto su quelle vittime, che avevano come unico denominatore la reclusione nel carcere di via Piangipane. Carlo Cavallini, Luigi Gusmano, Pasquale Esposito e Giuseppe Montagnese appartenevano alla questura di Ferrara; probabilmente erano stati arrestati per la loro attività repressiva durante la RSI e senz’altro Montagnese si era occupato della schedatura degli ebrei ferraresi alla fine degli anni ’30. Gilberto Colla, Mirco Mazzoni ed Eros Scaglianti erano stati in servizio in vari presidi del Copparese senza lasciare particolari tracce della loro attività, così come Corrado Ghedini, Roberto Stabellini, Alvaro Maggi e Manto Mariotti, i quali erano iscritti al fascio repubblicano e come tali mobilitati nella brigata nera di Ferrara; Bruto e Francesco Melloni, padre e figlio, erano rispettivamente capitano di artiglieria e sottotenente di vascello della marina di Salò. Medardo Graziani era stato a lungo podestà di Ostellato, mentre poco o nulla si conosce di Viscardo Vaccari, se non che era recluso assieme agli altri ex fascisti.

Jiri Broz, trentenne praghese fuggito dall’esercito tedesco era stato catturato in borghese dalla polizia militare britannica assieme al diciannovenne romano Vincenzo Trochei, volontario nelle camicie nere. L’ultimo morto ammazzato, era il coraggioso capo delle guardie del carcere, Costantino Satta, a cui oggi è intitolato l’istituto penitenziario di via Arginone.

Il ricordo di quei fatti risulta sbiadito, come spesso accade per i luoghi in cui le memorie si sovrappongono; difficile che possa restare memoria di tutti questi fatti, e quindi è un bene che il complesso sia custodito per mantenere vivo lo sguardo sulla storia dell’ebraismo italiano. Resta però molto da indagare su Ferrara e sulla sua provincia nell’immediato dopoguerra, e sulla scia di uccisioni che costellarono il nostro territorio per interminabili mesi, prima che gli odi e le vendette cessassero definitivamente.

*storico e studioso ferrarese