FEDERICO DI BISCEGLIE
Cronaca

Rivivono i mestieri del passato: "Effetto della svolta ecosostenibile"

L’analisi di Caleffi, segretario regionale della Uiltec settore che comprende anche i tessili "Non si buttano più le merci, ma si riparano. Torna così in voga con forza il sapere artigiano" .

Rivivono i mestieri del passato: "Effetto della svolta ecosostenibile"

Rivivono i mestieri del passato: "Effetto della svolta ecosostenibile"

Guardare al futuro, tornando ai mestieri del passato. Sembra paradossale, ma sta accadendo questo soprattutto in alcune categorie merceologiche. La spiegazione è semplice. Rispetto al consumismo spicciolo, che presuppone un consumo di articoli prodotti in serie ma di scarsa qualità, è cambiato il paradigma. "La durevolezza, la capacità di riciclo e di riuso di un prodotto, ora diventano prioritari. In questo modo si ottengono magari meno prodotti, ma più di qualità. E, soprattutto, si attiva il circolo virtuoso delle ‘riparazioni’". È il caso del settore tessile. A tracciare una panoramica è il segretario regionale della Uiltec (che comprende anche i tessili), Vittorio Caleffi.

Caleffi, al tempo dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie più avanzate, si organizzano corsi per sarti per poi introdurli nelle aziende. Cosa sta accadendo al tessile?

"È uno dei settori che sta attraversando i cambiamenti più profondi. L’organizzazione di corsi per formare i giovani ai ‘vecchi’ mestieri è il segnale della transizione. Mi riferisco a quella ecologica".

Mi perdoni, ma cosa c’entra la transizione ecologica con sarti e sarte?

"C’entra eccome. Quello tessile è uno fra i settori più inquinanti. Lo smaltimento dell’invenduto (che ha percentuali molto alte) è complesso. Anche la legislazione europea per il comparto, si sta orientando verso la transizione. Il che significa che i prodotti dovranno essere più di qualità. Dunque con una maggiore componente artigiana. Così anziché buttare il vestito rotto, lo si porterà a riparare. Ed è in questa ottica che va letta la scelta di alcune aziende".

Questa transizione avrà effetti positivi anche in termini di ricadute occupazionali?

"Sì. Le potenzialità sono enormi, tanto a livello globale quanto locale. Tuttavia c’è un elemento che deve andare di pari passo: la formazione. Occorre adottare anche per altre realtà che volessero insediarsi sul territorio il ‘modello Berluti’. Corsi di formazione ad hoc per la lavorazione delle calzature dedicati ai giovani, che poi sono stati assunti in azienda. È la chiave vincente. In più, occorre fare un salto culturale".

Che cosa intende?

"Bisogna uscire dalle vecchie logiche che consideravano ‘inferiore’ la formazione tecnica rispetto a quella liceale. Sia gli istituti tecnici che quelli professionali sono fondamentali per formare figure da inserire nelle aziende. I ‘vecchi mestieri’ devono tornare a essere appetibili. E questo passa dalla corresponsione di un adeguato salario".

Lei vede questa trasformazione e queste nuove opportunità solo nel settore tessile?

"Ormai si preferisce produrre beni più pregiati e durevoli, che si prestino a essere riutilizzati, riparati e riciclati. Mi viene in mente il comparto degli elettrodomestici. Se il nostro Paese vorrà salvarsi dalla concorrenza degli altri player globali, dovrà puntare su questo modello. E immaginare di incentivare le apertura di scuole che formino tecnici riparatori di frigoriferi, piuttosto che di tv e lavatrici".