Alina Marchetta funerale, l'omelia. "Perdona chi ti ha fatto questo"

Tantissime persone per dare l'ultimo addio alla 26enne, appassionata di moto e uccisa domenica mattina da un'auto

Il funerale di Alina Marchetti (nel riquadro la ragazza uccisa dall'auto)

Il funerale di Alina Marchetti (nel riquadro la ragazza uccisa dall'auto)

Forlì, 11 aprile 2019 - C’è silenzio di fronte alla chiesa di Regina Pacis, dove i familiari e gli amici di Alina Marchetta si sono raccolti ieri pomeriggio alle 15,30 per l’ultimo saluto alla ventisettenne uccisa domenica mattina mentre si trovava a piedi in viale Salinatore, travolta da un’auto guidata da una coetanea ubriaca. Un silenzio rotto dal rombo delle moto che arrivano a decine e si raccolgono di fronte alla chiesa. Sono gli amici della giovane, appassionata di moto: una passione contagiata dal fidanzato centauro. Tutti hanno lo sguardo velato di lacrime. Tutti non possono credere che la vita di Alina si sia interrotta così, una tranquilla domenica mattina.

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«Non avrei mai voluto celebrare questo funerale – dice dal pulpito don Edidiong –. Chi la conosceva mi ha parlato di Alina e mi ha letto un messaggio che aveva scritto alla mamma: ‘Sono felice e innamorata’. E ora è proprio a lei, che nella sua breve vita ha conosciuto felicità e amore, che voglio rivolgermi: ora sei in una dimensione che non è quella terrena, perdona. Perdona questa società civile che non ha saputo proteggerti. So che farò arrabbiare molti qui, ma a te, Alina, voglio chiedere anche di perdonare la persona che ha fatto sì che ci troviamo qui oggi in questo luogo».

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Un perdono difficile per chi ieri ha dovuto dire addio ad una persona cara. Molte spalle sussultano in un pianto difficile da trattenere, eppure in chiesa regna il silenzio. Un silenzio che si fa prolungato quando è la sorella di Alina a salire sul pulpito di fronte al microfono. E’ don Edidiong stesso a scendere tra le panche per chiamarla. «Quando ti ho vista per la prima volta – pronuncia con la voce rotta dalle lacrime – tu eri nella culla e io avevo dieci anni. Non sapevo bene come rapportarmi a te, eppure appena ti ho guardata è stato come se tu mi dicessi: ‘Tranquilla, ora ci sono io’. E da allora è sempre stato così, fino ad oggi. Abbiamo parlato di tante cose, io e te, anche della morte e ci siamo dette che anche se la vita ha una fine, qualcosa resta sempre. Rimani ancora con noi anche tu, con quel tuo modo geniale di vedere il mondo e di raccontarlo agli altri».

Le parole si spengono, sospese: impossibile proseguire. Parlano di Alina anche le colleghe: «In negozio è capitato di parlare della legge di Murphy e del fatto che se qualcosa può andare male, senz’altro lo farà. E’ quello che è successo a te. Perché quella mattina non hai tardato anche solo di un minuto?». Tanto sarebbe bastato perché Alina evitasse lo scontro fatale.

«Se il negozio potesse parlare ne racconterebbe tante. Racconterebbe delle foto scattate mille volte perché dalle troppe risate continuavamo a venire mosse, dei nostri progetti, dei nostri discorsi profondi e dell’occhiata che ogni giorno davamo all’oroscopo. Ora, senza di te, ci sentiamo spaesate, ma quando ti pensiamo non possiamo non sorridere, pensare al tuo animo dolce, ironico e rockettaro. Ti vogliamo bene, ciccia». Fuori dalla chiesa, la madre e il fidanzato di Alina si scambiano un lungo abbraccio. Poi il carro funebre si allontana.