Acqua contaminata, nei pozzi di Carpena c’è trielina. “Lo stop? Ritardato dall’alluvione”

Comune, Arpae e Ausl incontrano i cittadini dopo l’ordinanza. Sospetti già nel 2022, nel 2023 verifiche rifatte

Analisi chimica dell’acqua in un laboratorio (foto di repertorio). Nel caso di Carpena, sono stati trovati organoclorurati, nella fattispecie quello conosciuto come trielina

Analisi chimica dell’acqua in un laboratorio (foto di repertorio). Nel caso di Carpena, sono stati trovati organoclorurati, nella fattispecie quello conosciuto come trielina

Forlì, 20 aprile 2024 – L’ordinanza risale al 29 marzo 2024, due giorni prima di Pasqua, ma le analisi che hanno portato al divieto di prelevare l’acqua dai pozzi in un’ampia area nella zona di Carpena ha radici molto più lunghe. È quanto è emerso dall’incontro che si è tenuto giovedì pomeriggio in municipio, alla presenza dell’assessore all’ambiente Giuseppe Petetta e di numerosi tecnici dell’Ausl e di Arpae, i quali si sono confrontati con i cittadini rispondendo a tutte le loro domande.

Il perimetro della ‘zona rossa’ va da via Piretta fino al confine dell’area aeroportuale e da qui in direzione est fino a viale Bidente, poi da lì, includendo l’allevamento Ronco, fino al lato in sinistra idrografica del fiume omonimo. La ragione è la presenza nelle falde di organoclorurati. Prima di cominciare, Petetta ha voluto fare una precisazione: "L’ordinanza è frutto di un approccio cautelativo su quello che è un potenziale rischio ed è scaturita da analisi effettuate nel tempo necessario a individuare eventuali contaminazioni".

Il ‘tempo necessario’, agli occhi di un non addetto ai lavori, è senz’altro molto lungo: tutto, infatti, è cominciato nel 2022. "C’era un sito contaminato da idrocarburi – racconta la tecnica Ausl – per la quale il proprietario ha proceduto a bonifica". Attenzione: quando parliamo di idrocarburi parliamo di sostanze ben diverse dagli organoclorurati che hanno fatto scattare l’ordinanza, infatti si parla di un deposito di carburante ora dismesso. "Nel corso del procedimento – prosegue la tecnica – sono stati individuati anche organoclorurati di poco superiori alla legge". Non abbastanza alti, quindi, da far scattare il divieto. Se non fosse che il proprietario del terreno, nell’intento di ‘scagionarsi’ dalla possibilità che la sostanza cancerogena fosse sua responsabilità, ha proceduto privatamente anche all’analisi sui pozzi di un terreno limitrofo: "Qui la concentrazione era decisamente maggiore". Siamo a giugno 2023, ma ancora non viene emessa nessuna ordinanza.

Perché? – chiede qualcuno dalla platea – Noi nel frattempo abbiamo continuato ad annaffiare i nostri orti, a dar da bere ai nostri animali…". La ‘colpa’, ancora una volta, è in parte dell’alluvione: "In quel momento – assicura la tecnica – tutte le falde hanno riscontrato problematiche e le rilevazioni erano poco attendibili. In più il procedimento per individuare la contaminazione e capire se è ancora attiva è molto complesso, perché la falda continua a muoversi, senza contare che ci sono atti formali previsti dalla normativa che vanno rispettati". I tempi, insomma, secondo gli esperti, sono stati quelli ‘tecnici’. "Tra l’altro – interviene l’esperta Ausl – ricordiamo che chi utilizza acqua di pozzo in un certo senso lo fa a suo rischio e pericolo, dato che è noto come tantissimi agenti esterni possano intervenire in una contaminazione. Il nostro compito è entrare in campo con divieti ad hoc nel momento in cui il rischio generale si trasforma in un pericolo specifico". Come in questo caso.

Tra i presenti c’è chi chiede di avere la lista precisa di organoclorurati rilevati nell’acqua (quella degli organoclorurati, infatti, è un’ampia famiglia, la cui pericolosità è anche molto diversa da un elemento all’altro). La tecnica risponde con un nome scientifico che poi semplifica a uso dei non addetti ai lavori: "Parliamo di trielina". Ora il protocollo richiede che gli esperti individuino la causa, "ma il procedimento – i tecnici spengono subito ogni speranza – sarà lungo". C’è chi domanda se può stare sicuro attingendo da un pozzo artesiano profondo 35 metri e la risposta è: "No: è vero che i nostri rilievi riguardano l’acqua prelevata a 15 metri, ma 35 non è ancora considerata profonda. Più sicuro, invece, intorno agli 80 metri". Altri chiedono se, effettuando analisi private, sia possibile tornare a utilizzare il proprio pozzo ed ecco che arriva un altro "no, perché se anche il contaminante non fosse presente oggi, non sarebbe una garanzia sul futuro, data la mobilità delle falde".

C’è anche chi sembra dubitare di una reale contaminazione, ma è subito bloccato dalla tecnica Arpae: "I rischi per la salute non sono alti, ma che la falda sia compromessa è un fatto, così come è un fatto che ci troviamo di fronte a un problema serio che non potrà avere rapida risoluzione".