Macerata, Ave Maria a lezione, la prof: "Non ho obbligato nessuno, assurdo indignarsi"

La difesa di Clara Ferranti: era una preghiera contro la violenza

Clara Ferranti

Clara Ferranti

Macerata, 17 ottobre 2017 - «Era una preghiera che avveniva alle 17.30 in tutta Italia, anche in comunione con la Polonia». Clara Ferranti, docente di Glottologia all’Università di Macerata, spiega così quanto accaduto venerdì scorso durante una sua lezione.

Professoressa, ha interrotto la lezione per dire una preghiera in occasione del centenario della Madonna di Fatima?

«Il centenario dell’apparizione di Fatima non c’entra, anche se ricorre proprio il 13 ottobre e c’era stato un invito del Papa a pregare per quel giorno. Non è una cosa che faccio normalmente, dire una preghiera in un’aula universitaria, anzi non l’ho mai fatto prima. Il mio appartenere a gruppi di spiritualità è un fatto mio, privato, e tale è sempre stato. Venerdì però ho ritenuto, anzi ho sentito, che era importante accogliere l’invito a recitare il rosario a quell’ora, che viene da un gruppo di associazioni, tra cui gruppi mariani».

Quindi, che cosa ha fatto?

«Ovviamente non ho recitato il rosario, soltanto un’Ave Maria, per la pace e contro la violenza, tra cui c’è anche il fondamentalismo islamico. Preciso che era una preghiera anti-violenza, e non anti-Islam, quindi qualcosa che con la religione non ha nulla a che fare. Non ho imposto nulla a nessuno».

Però ha chiesto ai ragazzi di unirsi a lei nella preghiera.

«Ho invitato gli studenti ad alzarsi in piedi, anche i non credenti, per rispetto di chi crede. Non è vero che ho guardato male chi è uscito, anzi se qualcuno ha lasciato l’aula non me ne sono neanche accorta, e neppure sono stata a far caso se qualche studente si è rimesso seduto. Ho letto post diffamatori a riguardo, e molti commenti che raccontano il falso. Altri insinuano addirittura del timore di ritorsioni da parte mia su chi non si fosse unito alla preghiera. Non ha alcun senso. Era una preghiera per la pace, punto. Sono severa nel mio lavoro, agli esami giudico lo studente per il suo merito, e nient’altro».

Non ha pensato che dire una preghiera in un luogo laico, interrompendo una lezione universitaria, non fosse appropriato?

«C’è una legge che vieta di dire una preghiera dentro l’università? Sinceramente non lo so. Io posso dire com’è andata, non entro nel merito della legittimità. Non sono un giurista. Io faccio il mio mestiere».

Cosa pensa ora, vedendo le dure reazioni che la preghiera in classe ha suscitato?

«Mi viene da ridere e da piangere allo stesso tempo. Quello che è assurdo è che ci si indigni tanto per una cosa così semplice, come una preghiera, che sarà durata 20 secondi, e non ci si indigni invece per i politici che fanno a pugni in Parlamento o per chi ruba o per programmi in cui non si fa altro che litigare».

Il rettore però ha preso le distanze dal suo comportamento...

«Sì, ma senza aver avuto il rispetto di chiamarmi e chiedere direttamente a me. Il suo giudizio aprioristico è offensivo e grave l’uso del verbo “obbligati’’. Io non ho obbligato nessuno».

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