
La storia di Martina Paolucci, ricoverata per un mese e mezzo per Covid. “In ospedale pensavo di dovermi muovere in qualche modo per ricambiare. Ho deciso di fare un salto nel vuoto, ma adesso mi sento nel posto giusto”
Macerata, 19 marzo 2025 – Ha lasciato il posto fisso come addetta al controllo qualità in una nota azienda di Visso per diventare operatrice socio-sanitaria. E adesso la vita, con il tirocinio, l’ha portata all’ospedale di Fabriano, in Riabilitazione intensiva, nello stesso reparto in cui era stata ricoverata durante il percorso post Covid.
Un’esperienza che aveva lasciato un segno in lei e tanta gratitudine, con la promessa che sarebbe tornata per fare qualcosa. E così è stato. È la storia di Martina Paolucci; oggi ha 36 anni e vive a Castelraimondo. Nel novembre 2020 aveva raccontato sui social di aver contratto il virus per condividere, malgrado le distanze, la propria situazione e affrontarla insieme agli altri, restando umani e solidali. Per sensibilizzare sul rispetto delle norme anticontagio e aumentare il livello di tracciabilità.
“E far capire a chi non crede ancora che il Covid esiste e che le mascherine non servono – aveva detto all’epoca –, che il virus può colpire anche una persona giovane”. Per lei il recupero non era stato semplice. Tanto che dal dicembre 2020 al febbraio 2021 era stata quarantacinque giorni alla Riabilitazione intensiva di Fabriano per polineuropatia alla parte destra del corpo, un danno ai nervi periferici.
Martina, cosa l’ha spinta a cambiare vita?
“Quattro anni fa sono stata ricoverata all’ospedale di Fabriano, in questo reparto che rappresenta un’eccellenza. Mi sono sentita a casa. Mi dicevo: “Quando starò meglio dovrò fare qualcosa per tutto quello che hanno fatto per me“. Poi sono tornata alla mia vita e al mio lavoro, come addetta al controllo qualità in un’azienda di Visso, dove abitavo prima. Ma quel pensiero non mi ha mai abbandonato. Ci ho ragionato a lungo, perché avevo un contratto a tempo indeterminato. Ma alla fine ho deciso di seguire il mio sogno e fare un salto nel vuoto: lo scorso giugno mi sono licenziata e a settembre ho iniziato il corso per Oss a Jesi. Da poco è cominciato il tirocinio. E il destino mi ha portato proprio alla Fisioterapia intensiva, sette ore al giorno sei giorni su sette. Sono contentissima. Ho studiato all’istituto professionale odontotecnico e poi ho proseguito con la triennale di Infermieristica ma non ho finito l’università”.
Come è stata accolta?
“È stato contento anche il personale, medici, infermieri, fisioterapisti, operatori socio-sanitari. Mi hanno detto che mi sono ripresa bene e mi hanno accolto calorosamente. Mi sento nel posto giusto, al momento giusto e con la testa giusta in questa fase della mia vita. Ho tanta voglia di fare. Non so quanto potrò restare in questo posto e dove andrò quando finirà il corso. Ma il mio desiderio sarebbe lavorare in una struttura sanitaria e il massimo sarebbe stare qui. Ringrazio lo staff e la mia famiglia, che mi ha sempre supportato”.
Cosa le piace di più di questa professione?
“Il contatto col paziente. Qui viene accudito, non solo dal punto di vista fisico. C’è tanto da imparare a livello umano”.
La parte più difficile?
“Il coinvolgimento emotivo, l’affezionarsi al paziente significa pensarci sempre, anche fuori dall’orario lavorativo”.
Quali effetti ha avuto il Covid nella sua vita?
“Di sicuro mi ha portato a fare questa scelta. Però ha avuto anche conseguenze irreversibili: ho perso gusto e olfatto. Ho fatto diverse visite ma secondo i medici non torneranno più. Si tratta sempre di un problema a livello nervoso, come se non arrivassero più impulsi al cervello per gusto e olfatto. Ormai diciamo che mi sono abituata… si vive lo stesso”.