Omicidio Rosina, Arianna libera: torna nella villetta del delitto. "Voglio vedere Enea"

La donna ha recuperato le sue cose nel carcere di Forlì, dove è stata pagata per il lavoro svolto in questi mesi. Poi ha preso un treno per rientrare nelle Marche: nella casa di Montecassiano ha ritrovato il padre

Arianna Orazi è tornata nella villetta di Montecassiano; in alto il figlio Enea (Calavita)

Arianna Orazi è tornata nella villetta di Montecassiano; in alto il figlio Enea (Calavita)

Macerata, 17 dicembre 2022 - Uscita alle 18 di giovedì, in tarda serata Arianna Orazi è rientrata a casa sua, in via Pertini alle porte di Montecassiano. A farla uscire dal carcere di Forlì, dopo 22 mesi di detenzione, è stata la sentenza della corte d’assise pronunciata alle 14: due anni di condanna, con il beneficio della sospensione condizionale, praticamente già tutta scontata. In casa ha ritrovato il padre, l’80enne Enrico Orazi, condannato alla sua stessa pena. Entrambi hanno dovuto fare i conti con un fatto non previsto: Enea Simonetti, figlio di Arianna e nipote di Enrico, è l’unico condannato all’ergastolo per l’omicidio della nonna, la 78enne Rosina Carsetti, commesso alla vigilia di Natale 2020.

Omicidio Rosina, la sentenza: ergastolo al nipote, due anni al marito e alla figlia

Dopo la lettura della sentenza, che ha revocato la misura cautelare emessa per la 50enne Arianna Orazi a febbraio del 2021, la donna è stata riaccompagnata dalla polizia penitenziaria a Forlì, dove ha recuperato le sue cose e dove è stata pagata per il lavoro svolto dietro alle sbarre in questi mesi. Con quella somma, è andata alla stazione e si è diretta verso le Marche, a casa. La prima cosa che ha detto di voler fare è andare a Montacuto a trovare Enea. Lei e il ragazzo avevano parlato per ore, giovedì mattina, in attesa della sentenza, dopo quasi due anni di distanza pesantissimi: da sempre madre e figlio avevano un rapporto simbiotico. Ieri mattina Arianna era in casa, ma ha allontanato i cronisti che le chiedevano di parlare. "La sentenza non è definitiva – si limita a commentare l’avvocato Olindo Dionisi, difensore di Arianna nominato a processo già avviato –. Dobbiamo leggere le motivazioni della sentenza che, di sicuro, sarà impugnata sia dalla procura sia dalla collega che difende Enea. Per ora non possiamo dire nulla".

"Non cantiamo vittoria e non facciamo previsioni – aggiunge l’avvocato Barbara Vecchioli, che assiste Enrico Orazi –. Il pm Vincenzo Carusi aveva chiesto l’ergastolo per il mio assistito, e non ce lo aspettavamo. Poi ci siamo difesi: nei reati di concorso è difficile dimostrare la responsabilità omissiva, che sarebbe quella di cui era accusato Enrico. Secondo me non c’erano forme chiare di manifestazione concreta di questa volontà, e l’ho detto fin dall’udienza preliminare chiedendo il non luogo a procedere. Poi mi sono concentrata sugli elementi che erano contro di noi. Va detto però che sull’avambraccio c’è un Dna sconosciuto". Si riapre il discorso del rapinatore? "Era un elemento da valutare, magari, soprattutto in fase di indagini si sarebbe potuto leggere in modo diverso. In ogni caso, questa è una tragedia familiare". Una tragedia nella quale tre accusati, tutti legati da vincoli familiari stretti tra loro e con la vittima, in aula hanno finito per accusarsi a vicenda. "Noi siamo rimasti nel nostro ambito, difendendoci dalle accuse mosse contro di noi".

Unico responsabile del delitto, in base alla sentenza di primo grado, è solo il 22enne Enea Sinonetti. "Andrò a trovarlo la settimana prossima – annuncia l’avvocato Valentina Romagnoli –. Per il resto, aspettiamo le motivazioni della sentenza. La condanna era tra le ipotesi messe in conto, tuttavia alla luce di quanto emerso non era plausibile che fosse lui l’unico condannato. In ogni caso, resto convinta che Enea non fosse in casa nel momento in cui è stata uccisa la nonna".