Piediripa, Mancini chiede il dissequestro dell'Orim. "Non ci muoviamo da qui"

L’imprenditore: "Me ne vado solo se mi pagano il trasloco"

I vigili del fuoco al lavoro sul capannone distrutto dall’incendio

I vigili del fuoco al lavoro sul capannone distrutto dall’incendio

Macerata, 9 luglio 2018 - "Spostare l’azienda? Io sto benissimo dove sono, ho tutte le autorizzazioni. Negli ultimi anni ho provato ad andare altrove, ma mi hanno sempre messo i bastoni tra le ruote. A questo punto, se mi trovano un posto e mi pagano il trasloco, sono pronto ad andarmene. Altrimenti resto in via Concordia. Ora la priorità è che l’azienda venga dissequestrata, in modo da poter mettere in sicurezza la zona e tornare a lavorare». Alfredo Mancini, titolare della Orim, tira dritto. Venerdì scorso un incendio ha devastato la sua ditta (che tratta rifiuti speciali) e provocato una nube nera che ha tenuto col fiato sospeso mezza val di Chienti.

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L’azienda è ora sotto sequestro; la procura ha aperto un fascicolo per incendio colposo e diffusione di sostanze inquinanti. E mentre i residenti della zona attendono con preoccupazione i risultati delle analisi dell’Arpam su aria e terreni, l’imprenditore chiede di poter rimettere piede in azienda al più presto. Mancini scalpita: «Domani (questa, ndr) mattina con l’avvocato Paolo Giustozzi presenteremo in tribunale un’istanza di dissequestro per una parte importante dell’immobile. Dei sei capannoni, solo uno è inagibile. Chiederemo che ci permettano di pulire e mettere in sicurezza la zona: è un lavoro complesso, solo noi lo sappiamo fare. Peraltro se cominciasse a piovere potrebbero crearsi delle situazioni pericolose. Spero che mi concedano il dissequestro già in mattinata o nel primo pomeriggio. Non è che se mi lasciano entrare vado a nascondere le prove, d’altra parte è chiaro che si è trattato di un incidente».

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Dai tempi del dissequestro dipende in parte anche il futuro degli oltre cinquanta dipendenti. «Sono il bene più prezioso che ho e farò carte false pur di tutelarli. Però è chiaro che se dovessi stare fermo a lungo, dovrei pensare alla cassa integrazione». Mancini minimizza poi la portata dell’incendio e dribbla le proteste di chi abita nella zona: «Cosa significa che i residenti sono preoccupati? C’è qualcuno che si è sentito male o che è dovuto andare in ospedale? In 36 anni abbiamo smaltito una quantità enorme di materiale pericoloso: il fastidio che abbiamo provocato venerdì è niente rispetto a quanto abbiamo fatto di positivo. Noi siamo perfettamente in regola, nessuno può dire che abbiamo fatto uno smaltimento scorretto». Tanti residenti chiedono che l’azienda venga spostata lontano da case e attività commerciali. «Negli ultimi anni – replica Mancini – ho provato ad andare lungo la Carrareccia, nel Torinese, in provincia di Pescara, a Belforte, a Muccia. Ogni volta ci sono stati problemi. Sono disposto ad andare ovunque, purché mi trovino un posto adatto e mi paghino il trasloco. Altrimenti “hic manebimus optime’’ (qui staremo benissimo, ndr)».

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Quanto ai danni, secondo Mancini per ricostruire il capannone bruciato «serviranno 150mila euro. I danni agli impianti potrebbero arrivare a mezzo milione. Poi sono andati distrutti un mezzo preso a noleggio e una cisterna». Intanto i vigili del fuoco continuano i sopralluoghi (tre o quattro volte al giorno) nell’area interessata dall’incendio, per bonificare i piccoli focolai che spuntano dalle macerie. Da questo punto di vista, comunque, la situazione è sotto controllo.

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