Omicidio di Pamela Mastropietro, non ci sono impronte sui guanti

A breve i risultati degli ultimi accertamenti su scarpe, jeans e ascugamani dei due nigeriani arrestati dopo Oseghale

Pamela Mastropietro

Pamela Mastropietro

Macerata, 20 aprile 2018 - Non ci sono impronte sulla scatola di guanti in lattice trovata nella mansarda di via Spalato, dove il 30 gennaio sarebbe stata uccisa la 18enne romana Pamela Mastropietro. Il 6 aprile, i carabinieri del Ris hanno esaminato la scatola, trovata nell’appartamento dove Innocent Oseghale viveva in subaffitto.

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Dei cento pezzi che conteneva in origine, ne erano rimasti 47. Questo aveva fatto pensare che, visto che nella mansarda sono state trovate pochissime tracce e il sangue era stato perfettamente pulito, chi aveva massacrato la ragazza avesse potuto indossare quelle protezioni alle mani. Da qui l’idea di controllare se ci fossero impronte sulla scatola. Ma non ce ne sono. È possibile anche che quei guanti fossero lì da tempo, comprati e usati da un precedente inquilino della mansarda. In ogni caso, non c’è nulla che riporti agli indagati per l’omicidio, Oseghale appunto, e poi Lucky Desmond e Awelima Lucky.

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Tra non molto si dovrebbero conoscere anche i risultati degli ultimi accertamenti, fatti sulle scarpe dei due, su un paio di jeans di Desmond e un asciugamano trovato nella stanza di Awelima. Su questi capi sono state evidenziate tracce che contengono particelle di ferro, e dunque potrebbe trattarsi di sangue: ma bisogna ancora accertare che questo sia vero, e capire se le micromacchioline offrano una quantità di materiale organico sufficiente a stabilire di chi sia quel sangue. 

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Al momento dunque, a quanto si sa, non ci sono ancora indizi che possano ricollegare Desmond e Awelima al delitto, a parte l’analisi con le celle telefoniche, che però è troppo generica: non basta dire che un telefono è stato usato nella zona di via Spalato per sostenere una condanna per omicidio.

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Desmond Lucky continua a professarsi innocente, «ed è certo che la giustizia lo chiarirà, è sereno – dice il suo difensore, l’avvocato Gianfranco Borgani, che lo ha incontrato in carcere –. Ribadisce di non sapere nulla, e non si spiega perché Oseghale lo abbia chiamato in causa visto che, a suo dire, non avrebbero avuto discussioni e l’unico motivo per cui si sentivano erano le scommesse». Desmond, in Italia da circa due anni, non ha mai avuto denunce o segnalazioni legate agli stupefacenti, è in regola con i documenti ed era nel programma di accoglienza. «Giusto che la magistratura indaghi e sia inflessibile con chi ha commesso un crimine tremendo, ma non si può sparare nel mucchio, vanno trovati veri colpevoli».