PAOLA PAGNANELLI
Cronaca

Terremoto, le notti al gelo in tenda e roulotte a Pieve Torina

Viaggio fra quelli che non se ne vanno: racconti drammatici: "Resistiamo"

La mensa per gli sfollati di Pieve Torina (foto Pierpaolo Calavita)

La mensa per gli sfollati di Pieve Torina (foto Pierpaolo Calavita)

Macerata, 3 dicembre 2016 - Dormono in tenda, in roulotte, sotto alla tensostruttura o anche in auto. A Pieve Torina 450 persone sono rimaste in paese, «ma la notte – racconta una mamma – quando per andare in bagno devi uscire, il freddo è micidiale, per questo i bambini si ammalano». È difficile immaginare la quotidianità di queste famiglie, tra la paura per le scosse continue, «che ci fanno uscire di corsa dalle roulotte», e i disagi di una sistemazione di emergenza. «Mio marito lavora – racconta una donna, che vive in roulotte –, e non me la sono sentita di lasciarlo solo. E le mie figlie, di 20 e 12 anni, sono volute rimanere con noi. Mio fratello, con una cena organizzata a Roma, ha raccolto i soldi per comprare quello che ci serviva».

Il suo racconto della sera del 26 ottobre è un film dell’orrore. «Dopo la prima scossa eravamo rientrati per mangiare qualcosa. Ma alla seconda scossa è diventato tutto buio, sentivamo il rumore dei crolli e abbiamo pensato fossero le scale, così siamo scappati in terrazza e siamo rimasti lì, bloccati tra i pezzi di muro che cadevano da casa nostra e della casa vicina, le urla, il buio totale. Paralizzati. Devo ringraziare il sindaco Alessandro Gentilucci se siamo vivi: è arrivato con la scala e ci ha fatto scendere tutti, ci ha letteralmente salvati. Da quel momento siamo fuori casa senza nulla, eravamo in pigiama. Ora in roulotte dormiamo in tre sul letto matrimoniale e uno sul lettino. Abbiamo le stufe che ci ha dato il Comune, ma l’altro giorno l’armadio di tela dove ho messo i vestiti ha preso fuoco.

E poi c’è il problema dei bagni, che sono di fuori. Ci sono due docce che non si chiudono. Soprattutto mi dispiace per le figlie, che non ne possono più di vivere così. La piccola dopo la scossa di agosto aveva iniziato a prendere dei sonniferi, ma ora glieli ho tolti, non riusciva più a farne a meno ed era troppo intontita». Malgrado le stufe, nella roulotte si sente l’umidità: «I cuscini sotto sono bagnati, puzza tutto di muffa. Ma non vogliamo andare via». La famiglia non sa cosa faranno in futuro: «Ma io in quella casa, che ancora non ho finito di pagare, non posso tornare».

«Non possiamo andarcene tutti sennò non rimane niente. Anche Giuditta Mei è rimasta in paese. Nella roulotte vive con il marito e il figlio, ha attrezzato una cucina e non si arrende. «Ma in un mese sono invecchiata di dieci anni. La sera del 26 ottobre mio marito è caduto davanti alla porta, ed è stata una fortuna perché dalla casa davanti a noi sono caduti tanti mattoni: se fosse andato più avanti lo avrebbero colpito». «I bambini non ne possono più – aggiunge Adorna Battaglia, indicando i tre nipotini – e si ammalano, perché di notte devono uscire dalla roulotte se vogliono andare in bagno». «Io torno in Sicilia – racconta Giosué Incognito, che ha dormito nella tensostruttura –. Sono venuto qui dopo il terremoto del 1997, ho lavorato come muratore. Ma mia moglie è invalida, non possiamo resistere sotto la tenda».