Traini, l’ultimo atto in Cassazione I legali contestano il reato di strage

Raid con la pistola: udienza fissata per il 20 gennaio dopo la condanna a 12 anni confermata in appello. Nel mirino della difesa anche l’aggravante dei motivi di odio razziale. "Il suo obiettivo erano gli spacciatori"

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di Paola Pagnanelli

Il 20 gennaio, è fissata l’udienza in Cassazione sulla sparatoria a sfondo razziale messa in atto da Luca Traini il 3 febbraio del 2018. I giudici di Roma diranno l’ultima parola su quel fatto, per il quale il maceratese è stato accusato di strage e condannato a 12 anni di reclusione in primo grado e in appello. Il ricorso è firmato dall’avvocato Giancarlo Giulianelli e dal professor Franco Coppi, divenuto celebre per avere difeso, tra gli altri, anche Giulio Andreotti. Il raid per le vie della città, e fino a Casette Verdini di Pollenza, era legato all’omicidio della 18enne romana Pamela Mastropietro. Saputo che di quel delitto era accusato uno spacciatore extracomunitario – Innocent Oseghale, poi condannato all’ergastolo – Traini aveva deciso che toccava a lui vendicare la povera ragazza. Quel sabato mattina, mentre in tribunale era in corso l’udienza di convalida del fermo del nigeriano, lui aveva preso la pistola Glock calibro 9, e al volante della sua auto si era messo a girare per la città, facendo fuoco ogni volta che incrociava qualche giovane immigrato: sparò in 14 punti diversi, alla stazione, in via Gigli, in corso Cairoli, in via dei Velini, poi davanti a un locale a Sforzacosta, contro la vetrina di un bar a Casette Verdini, ferendo sei persone e seminando un panico mai conosciuto prima. Poi si fermò al monumento ai caduti in piazza della Vittoria, dove fu arrestato dai carabinieri. Ai militari disse: "Ho fatto quello che dovevo". Nel ricorso in Cassazione, gli avvocati Giulianelli e Coppi contestano vari punti della ricostruzione fatta dalla corte d’assise di appello di Ancona. "In primo luogo, l’elemento temporale: per i giudici del secondo grado, tutto sarebbe avvenuto in mezz’ora, mentre invece – spiega l’avvocato Giulianelli – il raid durò di più, Traini girò per diverse vie della città e raggiunse le frazioni, fermandosi anche a pregare nel punto in cui erano stati ritrovati i resti di Pamela Mastropietro. Il reato di strage prevede che il fatto avvenga in un unico contesto spazio temporale, ma questo elemento manca nel caso di Macerata. Non si trattò di una strage, ma di una serie di lesioni, o al massimo di tentati omicidi". La difesa, poi, ha sempre contestato l’aggravante dei motivi di odio razziale: Traini non avrebbe scelto i bersagli in quanto stranieri, ma perché, secondo lui, quasi tutti gli stranieri sarebbero spacciatori, e il suo obiettivo erano gli spacciatori, colpevoli in qualche modo della morte di Pamela Mastropietro. Anche questa associazione tra stranieri e spacciatori è stata ritenuta espressione di una forma di razzismo, dalle due corti d’assise che finora hanno giudicato il maceratese, condannandolo a 12 anni per strage. E il pentimento di Traini finora non è stato ritenuto credibile. Ora bisognerà vedere come la Cassazione leggerà quell’episodio, per il quale il nome di Macerata arrivò persino in Australia. Intanto, Traini è in carcere a Montacuto, dove si dedica in modo particolare all’attività nella palestra.