Nonantola, rinasce l'abbazia a 6 anni dal terremoto

Si potrà chiedere l'indulgenza plenaria. Per ripararla dopo le scosse è servito un milione e mezzo di euro

Abbazia di Nonantola (FotoFiocchi)

Abbazia di Nonantola (FotoFiocchi)

Nonantola (Modena), 16 settembre 2018 - Nella penombra della cripta il silenzio è davvero sacro, e avvolge secoli di affascinanti memorie. Se chiudi gli occhi, ti sembra di sentire ancora le preghiere dei monaci benedettini: nel Medioevo, qui, erano più di ottocento. Meraviglioso monumento della fede e dell’ingegno, l’abbazia di Nonantola è una delle gemme incastonate nella pianura: la fondò nel 752 Anselmo, cognato di Astolfo, re dei Longobardi, poi Carlo Magno ne fece uno dei capisaldi del suo impero, e fra l’XI e il XII secolo fu testimone del potere di Matilde di Canossa, la grancontessa. Semidistrutta da un terremoto nel 1117, venne ricostruita in stile romanico: quasi nove secoli dopo, nel 2012, il sisma che ha colpito l’Emilia l’ha ferita nuovamente e ha costretto a chiuderla.

A sei anni dal terremoto, e grazie a molti mesi di intenso lavoro (con un investimento complessivo di almeno un milione e mezzo di euro), l’abbazia torna a nascere: oggi è grande festa per la solenne riapertura. A suggello dell’evento, il Vaticano ha concesso che possa tenersi a Nonantola un Anno Santo straordinario: l’arcivescovo monsignor Erio Castellucci aprirà dunque la Porta Santa e fino al 31 dicembre 2019 i fedeli potranno ottenere l’indulgenza plenaria. "È una gioia immensa", ammette don Alberto Zironi, parroco di Nonantola e priore del capitolo della concattedrale, che ci accompagna a visitare il tempio ritrovato.

Il monastero fu insigne centro culturale e anche politico: vi fiorì un importante scriptorium che realizzò codici di valore inestimabile, e sui terreni concessi dai monaci ai nonantolani nacque la partecipanza agraria, che ancora oggi tramanda quell’eredità. All’interno dell’abbazia sono sepolti due Papi (San Silvestro, a cui è intitolata la chiesa, e Adriano III, morto attorno all’885): fra le reliquie, la più preziosa (oggi al Museo diocesano, proprio a fianco) è quella della Santa Croce che Sant’Elena donò al figlio, l’imperatore Costantino. «Tutta l’abbazia è come un manuale d’architettura, e un libro vivo», osserva don Zironi.

La suggestiva scala («Il sogno di tutte le spose») conduce al presbiterio con l’altare maggiore. Alzando gli occhi, il semplice Crocifisso si staglia sull’abside di un colore tenue, a significare la luce della Resurrezione che sconfigge la morte. Sul lato opposto, il fonte battesimale ottagonale, costruito anche con materiali di epoca romana.

I lavori (coordinati dall’ingegner Augusto Gambuzzi e dall’architetto Vincenzo Vandelli) hanno rivelato aspetti nascosti: «Per esempio, con le indagini georadar si è individuato al centro della navata il perimetro dell’originaria abbazia, ben più piccola dell’attuale», spiega il parroco. E le absidi erano probabilmente decorate con toni fra il bianco e il rosato. A questo si affiancano alcuni intriganti ‘misteri’: «Le colonne della cripta sono 64, quasi una foresta, a cui si aggiungono le otto portanti e l’altare: in tutto 73, come i libri della Bibbia e i capitoli della Regola di San Benedetto – spiega il parroco –. Furono 73 anche i ragazzi ebrei salvati a Villa Emma, qui vicino, durante l’ultima guerra. Un’incredibile coincidenza».

Tra le curiosità, anche le formelle del portale in cui si racconta l’infanzia di Cristo: nella scena della Natività, Gesù Bambino è affiancato dall’asino e dal bue, ed è sorprendente pensare che questa raffigurazione venne scolpita quasi cent’anni prima che San Francesco desse vita al presepio di Greccio. Una, dieci, cento storie che l’abbazia ci può raccontare e già fioccano prenotazioni per visite e pellegrinaggi, anche dall’estero: Mille più Mille, Nonantola continua a essere nel cuore dell’Italia e dell’Europa.