REDAZIONE MODENA

Alla riscoperta di leggende e favole dell’Alto Frignano

Gli studenti della 1^A di Pievepelago hanno riportato alla luce storie narrate dai loro nonni. Sfidando la vita frenetica, hanno lasciato spazio ai racconti del passato, memoria da non perdere. .

Gli alunni della classe 1^A dell’Ic Pievepelago insieme al professore Luca Malservigi

Gli alunni della classe 1^A dell’Ic Pievepelago insieme al professore Luca Malservigi

Ogni luogo ha le proprie favole e le proprie leggende, a volte anche molto antiche. Il comune di Pievepelago, a cui noi studenti di 1A apparteniamo, non può certo essere un’eccezione. Tuttavia, appena abbiamo iniziato a discutere di questo argomento, ci siamo accorti di un grande problema: dove si trovano, oggi, queste antiche storie locali? Esistono ancora, da qualche parte? O piuttosto si tratta di un patrimonio perduto? Durante le nostre discussioni, abbiamo cercato di chiarire le ragioni di questa scomparsa e, allo stesso tempo, di intraprendere una ricerca per riportarle alla luce.

La nostra indagine ha dato i risultati sperati. Ma bisogna procedere con ordine.

Prima di tutto, abbiamo verificato che esiste una differenza fondamentale tra la cultura scritta e quella orale. I racconti, negli antichi tempi, passavano di bocca in bocca, custoditi nella memoria delle persone. Non esistevano libri scritti e ogni storia viveva solo grazie alla voce di chi la raccontava. Poi, con l’arrivo della scrittura, tutto è cambiato: le parole sono state fissate per sempre sulla carta. In questa immutabilità, i racconti sono diventati simili ad un corpo imbalsamato, un sasso, una vecchia statua. Da un lato, la nascita della scrittura ha permesso di conservare molte storie; dall’altro, però, ha interrotto quel gioco di trasformazioni che rendeva ogni racconto unico, o permetteva ad uno stesso racconto di evolversi, variare, trasformarsi, produrre più versioni di sé. Insomma: oggi abbiamo molti libri, ma abbiamo perduto tanto della tradizione orale, anche perché viviamo in un mondo molto diverso.

In questi ultimi anni, infatti, non si usa più raccontare le antiche leggende perché è venuto a mancare il tempo e la volontà. Nel mondo di oggi le persone si trovano occupate in un grande numero di faccende. Si è sempre in movimento, sempre in attività. Anche il cosiddetto ’tempo libero’ appare sempre occupato da qualche cosa. La vita di oggi è cambiata, tra scuola, lavoro, sport e tecnologia. Nel mondo di ieri, invece, quando l’istruzione non era obbligatoria, quando i genitori lavoravano nei campi, quando le nonne tessevano e filavano davanti al camino in compagnia dei loro nipoti, allora c’era il tempo di creare e di tramandare storie: fiabe, favole e leggende, laiche o religiose. I racconti, poi, non servivano solo a scacciare la noia, ma anche a insegnare lezioni importanti sulla vita, il rispetto e la saggezza: era quella, in qualche modo, la scuola dei nostri antenati.

Come veri investigatori, abbiamo quindi cominciato la ricerca di questa ’scuola’ scomparsa. Abbiamo iniziato a chiedere a nonni, a parenti e ad amici se ricordavano favole e leggende di Pievepelago e abbiamo registrato le loro risposte. Abbiamo consultato il libro Pievepelago e l’Alto Frignano (1979) che raccoglie molte informazioni sulla nostra terra. Alla fine del secondo volume ’L’ambiente, l’arte, la lingua, le tradizioni’ è presente una sezione dedicata alle favole e alle leggende. Man mano che ci confrontavamo e leggevamo questi vecchi documenti, è accaduto qualcosa di speciale: quasi per magia, molti dei racconti presenti in quel vecchio libro sono riaffiorati dalla nostra memoria. È bastato poco per evocare quelle storie che i nonni ci raccontavano fino a pochi anni fa.

Esse sono tornate a vivere, come se fossero sempre state presenti, in attesa di essere raccontate di nuovo. Più di ogni altra ci ha colpito la favola della volpe e del lupo. Infatti, è stato sorprendente scoprire che ognuno di noi la ricordava con qualche dettaglio diverso, esattamente come le antiche storie di tradizione orale! Il libro, in questo caso, registrava solo una di tutte le possibili variazioni che conosciamo.

La storia racconta di un lupo e di una volpe che si intrufolano di nascosto nella casa di un contadino per ingozzarsi di latte, formaggio e prosciutto. La volpe, astuta, mangia con moderazione, controllando sempre le dimensioni della sua pancia e quelle della finestra da cui è entrata. Improvvisamente, si sentono i passi del contadino che sta rientrando. La volpe, snella e agile, scivola via senza problemi. Il lupo, ingordo e poco accorto, non riuscendo più a passare dalla finestra, si mette a rotolare per fuggire, ma è così lento che il contadino lo colpisce con un bastone così violentemente da fargli perdere tutto il cibo inghiottito. Solo così, tutto malconcio, il povero lupo è in grado di mettersi in salvo. Come se non bastasse, la volpe lo prende in giro: fa scrocchiare delle noci in una saccoccia fingendo di avere le ossa spezzate per impietosire il compagno. Convinto che sia più ferita di lui, il lupo le offre la sua schiena per trasportarla. "Là, là per el pian, l’amalado porta el san …" canticchia allegramente la volpe, in dialetto modenese, dopo essere salita senza tanti complimenti. Insomma, una lezione di vita: l’astuzia ha sempre la meglio sulla forza.

Questa ricerca ci ha fatto capire che le storie non muoiono davvero. Possono restare nascoste e addormentate nella memoria di chi le ha ascoltate, ma basta trovare un modo per farle riaffiorare perché tornino a vivere.

Se continueremo a raccontarle, queste favole non finiranno mai di esistere. Ma noi non dobbiamo solo trasmettere quello che già possediamo e che abbiamo ricevuto da qualcuno.

Dobbiamo avere il coraggio e la forza di creare anche qualcosa di nuovo, come fanno e hanno sempre fatto i grandi narratori.

Classe 1^A di PievepelagoBaltatu Felicia, Bernardi Leonard, Burchielli Alan, Colò Samuele, Danalachi Gloria, David Emma Teodora, Galassini Gabriel, Hebblethwaite Edoardo, Iordan Jessica, Kamberi Amar,Mihai Antonio Angelo, Morelli Margherita, Pinzar Daniel