«Da 25 anni porto i vestiti ai carcerati»

Alfonsina Gamberini, volontaria a 87 anni: «Lo Stato fornisce solo lenzuola e coperte. Al resto penso io, con l’aiuto di Porta Aperta»

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di Valentina Reggiani

Quando entra e cammina tra i settori tutti la chiamano nonna e fanno a gara per aiutarla a trasportare quei sacchi pesanti, colmi di abiti. Ha 87 anni e una vitalità che farebbe invidia ad un 20enne: lei è Alfonsina Gamberini e ha dedicato buona parte della sua vita come volontaria al carcere Sant’Anna, che conosce meglio delle sue tasche. E’ un po’ la sarta del penitenziario perché il suo compito - che sicuramente pochi conoscono ma che risulta fondamentale per i cinquecento detenuti - è quello di distribuire vestiario.

Come nasce questa esperienza divenuta parte integrante della sua vita?

«Era l’ottobre del 1995 ed era da poco morta la mia mamma. Frequentavo la parrocchia di San Faustino: all’epoca c’era Don Luppi. La sorella, una professoressa cercava volontari per il carcere: serviva qualcuno che aiutasse i detenuti con la vestizione. Così mi sono fatta avanti: mi sembrava importante».

Cosa faceva nella vita?

«Gestivo villaggi turistici in giro per l’Italia che io stessa avevo fondato: ero quindi abituata a convivere con persone ‘sconosciute’, proprio come avviene in carcere che è comunque una grande casa. Forse in tanti non lo sanno ma lo Stato fornisce solo lenzuola e coperte e noi iniziammo così: raccogliendo abiti con la nostra associazione ‘Porta aperta al carcere’».

Dove riuscivate a reperire il vestiario?

«Allora come oggi attingiamo da famiglie e associazioni: utilissimi i cambi di gestione ma tanti modenesi ci portano anche gli abiti dei cari scomparsi. Poi ci sono le Polisportive, ad esempio, che ci chiamano quando qualcuno dimentica magliette o altro vestiario e non torna a riprenderlo. Poi acquisto merce attraverso i fondi raccolti con i mercatini del riuso: riesco a farne una quarantina all’anno».

Quante volte va in carcere?

«Al lunedì e al giovedì ma ormai vado per gli 88 anni e non è facile gestire una massa di cinquecento persone che ti corrono incontro: sarebbe fondamentale trovare nuovi volontari; noi siamo sette in tutto».

‘Veste’ anche le donne?

«Sono poche ma, soprattutto, troppo pretenziose e ci siamo sempre dedicati agli uomini».

Di cosa c’è più bisogno?

«Ci chiedono soprattutto asciugamani e per questo ringrazio la lavanderia Artioli che ci dona tantissimi accappatoi: una grande benedizione per i detenuti e ci aiuta in questo anche la parrocchia Santa Caterina».

Come mai i detenuti non riescono ad ottenere il vestiario dai parenti?

«Le cose sono cambiate negli anni. Probabilmente per gli italiani è più semplice ma ci sono tutti quei ‘ragazzotti’ stranieri, molti dei quali dentro per spaccio che non hanno nessuno in Italia ed hanno bisogno di tutto: dalle scarpe ai boxer, dalle calze alle magliette intime ai cappellini di lana in inverno. L’utenza è cambiata e i bisogni sono tanti: noi cerchiamo di aiutare tutti. All’epoca c’erano detenuti con lunghe permanenze: ora ci sono giovani che restano poco ma spesso tornano dentro».

C’è qualcuno con cui ha costruito una sorta di amicizia?

«Anni fa nel reparto mobili c’erano detenuti che ci aspettavano per offrirci il caffè la mattina. Parliamo di persone che hanno sbagliato e che stanno pagando per i reati commessi ma pur sempre persone: ricevo più di quello che do e quando vedono arrivare ‘la nonna’non si dimenticano mai di dire quanto mi vogliono bene».